mercoledì 9 gennaio 2013

Notizie da Lilliput 59: Ombre e nebbia


Ci sono mattine, in California, in cui la nebbia sale inesorabile prima dell’alba a velare l’acqua dell’oceano, a sbiadire i contorni delle persone, a sfumare le cime dei monti.

Racconti di epoche e di luoghi lontani si affacciano prepotentemente alla memoria, in cerca di legittimazione, in cerca di consenso: tritoni e sirene, grotte marine e antri misteriosi, abitazioni nascoste lassù oltre le nuvole danzano nella mente e davanti agli occhi di quanti si arrendano, docili, ai loro richiami segreti, alle loro suggestioni mitologiche.

L’istinto più forte, in questi frangenti, è uscire da casa il più in fretta possibile, anche in pantofole, anche in pigiama, per camminare incontro alla bruma stopposa che incombe sull’orizzonte, nella vana speranza di poterla raggiungere e sparirle dentro, in quel suo ventre sfilacciato e accogliente.

Ciò che difficilmente capita a Santa Monica, tuttavia, diventa facile realtà a San Francisco dove, molto tardi, è possibile infilarsi nel bianco lattiginoso della nebbia fino a vedere muri, alberi, lampioni e strade trasfigurare in qualcosa di diverso, di sconosciuto e, per ciò stesso, di affascinante.

A notte fonda, quando tutto dorme e il silenzio si conferma l’unica presenza tangibile intorno, i confini delle cose perdono consistenza, avvolti dalla coltre impalpabile, per assumere forme nuove, forme bizzarre, forme impreviste.

I fanali delle poche auto in giro a quest’ora, con le loro colorazioni giallastre, macchiano di sfumature spettrali l’aria circostante, tingendola di accenti sovrannaturali: a ogni angolo buio e denso si teme dunque, o forse ci si augura, le gambe pronte a uno scatto atletico, l’apparizione di un fuoco fatuo, di un’anima perduta in cerca di consolazione o di sollievo.

E così, arrischiare una passeggiata nei dintorni del Golden Gate Bridge, verso le tre del mattino, significa quasi certamente superare una soglia, quella tra la notte e il giorno, tra il sogno e la veglia: a essere molto fortunati, uno sguardo coraggioso oltre la struttura rossa può talvolta rivelare i tratti inconfondibili di un vascello fantasma, con il suo carico di suoni agghiaccianti e di voci straziate, pronto al consueto, seppure inutile, arrembaggio alla sfera dei vivi.

Frattanto, gli edifici del Presidio, oramai riconvertito in area ricreativa, sembrano riecheggiare improvvisamente dei passi dei tanti militari spagnoli, messicani o nordamericani avvicendatisi all’interno delle sue casette ordinate e pulite, affacciate sull’estrema punta settentrionale della penisola di San Francisco a chiacchierare col vento e con i gabbiani.

Altrove, ovunque, sui colli, nell’acqua, sotto i tetti vittoriani, i sussurri dei giorni passati, i ricordi dei terremoti accaduti, a tessere, anno dopo anno, secolo dopo secolo, la trama inconfondibile di questa nebbia californiana.

E.M.