lunedì 18 marzo 2013

Notizie da Lilliput 96: La bella addormentata nel campus


La domenica mattina, gli studenti universitari di Los Angeles si alzano piuttosto tardi. E quelli iscritti alla UCLA non fanno eccezione.
Attraversando il quartiere di Westwood in direzione dell’università, alle dieci passate, si incrocia il fermento consueto di qualsiasi giorno, lavorativo o meno. Le strade, anzi, sono piuttosto trafficate, addirittura congestionate, in alcuni punti.

I viali del campus, immerso nella quieta agiatezza di piccoli condomini e villini dall’architettura elegante, invece, sono deserti. Nei suoi parcheggi, ingentiliti da alberi e aiuole in fiore, si possono contare facilmente le macchine abbandonate con noncuranza, mentre i pochi visi in giro appartengono a persone di una certa età, che il sonno, evidentemente, o forse i cani che le precedono festanti, non sono riusciti a tenere a letto.

Nemmeno gli scoiattoli, abituali frequentatori del complesso, hanno ancora avuto il coraggio di uscire dai propri, caldi, nascondigli in cerca di cibo. E così, i prati che circondano i vari edifici hanno un che di puro, di virginale, quasi aspettassero d’essere svegliati da un sonno durato troppo a lungo.

Le caffetterie, ritrovo abituale dei numerosi iscritti ai diversi corsi, osservano religiosamente il riposo settimanale, conferendo al luogo una nota stonata, inquietante.

Lo spazio, tutt’intorno, pare senza fine.
A camminare tra le sue costruzioni, in mattoni rossi, dall’aspetto rinascimentale, si ha l’impressione di camminare tra monaci e monache, tra abati e abbadesse. Tra i rigidi cipressi, mausolei, cattedrali o semplici chiese si spartiscono equamente colonne e porticati, logge e lesene, altane e abbaini, in un vortice continuo di richiami e citazioni, di memorie e suggestioni.

Nel silenzio circostante, interrotto, molto raramente, dal canto stridulo di qualche uccello, ci si convince presto d’essere in un altro posto, in un altro tempo.
Voci appartenenti a quanti abbiano calpestato questo lastricato, quest’erba, negli anni, nei secoli passati, si affollano ora intorno alle orecchie di chi sia capace di ascoltare, di chi non si lasci intimorire dalla bizzarria dell’evento.

Oltre le arcate di pietra bianca sembra di scorgere un’ombra; oltre le panche di cemento, gelide e severe come quelle di un cimitero, sembra di registrare un movimento fulmineo; in alto, sulle torri, sembra di intravedere un’immagine sbiadita.

Ma quando un orologio, in lontananza, batte le undici, l’incantesimo si spezza e la vita ricomincia a fluire: le risate si fanno più frequenti, le parole si fanno più intense, le figure si fanno più reali. I tavolini dell’unico bar aperto ricevono i primi clienti chiassosi, le scalinate scenografiche accolgono i primi camminatori stanchi: un nuovo giorno, a dispetto dell’ora tarda, è appena cominciato.

E.M., Santa Monica