Pavoni, picchi e scoiattoli
accolgono l’ospite del Big Sur Lodge da consumati padroni di casa.
Il giorno del suo arrivo,
infatti, intuendone la stanchezza arretrata, accumulata sulle interminabili
autostrade californiane, lo lasciano libero di riposarsi in un bungalow arioso,
immerso tra sequoie secolari e cime di rarefatta bellezza, fino al mattino
successivo quando, stanchi dell’eccessiva quiete del luogo, decidono di presentarsi
educatamente al nuovo venuto.
Tutt’intorno, la maestosità
del Julia Pfeiffer State Park incastona decine di baite accoglienti e profumate
di legno e di camino, per raggiungere le quali ci si deve avventurare nel fitto
della boscaglia, superare un incantevole corso d’acqua completo di mulino in
miniatura e inerpicare lungo un sentiero che, se percorso nel silenzio profondo
della notte, richiama più facilmente atmosfere del terrore che placide fiabe di
fate e gnomi.
Il turista, frattanto,
riavutosi dalle fatiche del viaggio, ha trascorso una piacevole serata davanti
al fuoco scoppiettante della propria camera da letto che, con il patio proteso
sul verde circostante e le ampie vetrate, si fa continuazione ideale dello
spazio esterno, luogo d’incontro privilegiato e pacifico tra la specie umana e
quelle animali che popolano i dintorni.
Un tacchino particolarmente
cordiale si presenta sulla soglia, augurando il suo stridulo buongiorno all’uomo appena
chiusosi la porta del mini-appartamento alle spalle: un rapido scambio di
saluti, velato di mammifera diffidenza, stabilisce inequivocabilmente i
rapporti di forza locali a vantaggio del grinzoso pennuto e concede al
soccombente un’opportuna ritirata, alla scoperta delle meraviglie
paesaggistiche a lui prossime.
Sentieri in terra battuta,
inaspettati per quanti li incrocino provenendo dall’albergo, si snodano tortuosi tra alberi bassi e cespugli scarmigliati, alloggi prediletti da topi di
campagna e bisce d’acqua, rinfrescati qua e là da torrentelli impertinenti,
sormontati da ponti pittoreschi.
Corvi e cornacchie
accompagnano il gitante nel suo percorso esplorativo, attirandone spesso
l’attenzione con il richiamo insistente o lo zampettare curioso tra rovi e
arbusti fino a condurlo a uno scenario completamente diverso e, di nuovo, del
tutto imprevisto: una caletta sabbiosa, affacciata sull’oceano in tempesta.
Big Sur, infatti, strizzato a
metà tra il promontorio e la costa, regala marine possenti, sublimi, di volta
in volta furiose o serene.
Del resto non è un caso che
qui, sollevando lo sguardo dalla spiaggia alle rocce sovrastanti,
prepotentemente a picco sull’acqua spumosa, ogni tanto si scorga un viandante,
ritto sulla punta più alta e esterna, la gamba sinistra in avanti, la mano
destra stretta a pugno sul fianco.
Un relitto di barca,
mollemente adagiato su un lato, si lascia bagnare dalla risacca, offrendosi timidamente
agli scatti di quanti siano pronti a coglierne la triste bellezza. Poco oltre
un uccello nero, accomodatosi silenziosamente su un tronco giunto da chissà
dove, scandisce il tempo della visita, col suo canto severo e cadenzato.
E.M.
E.M.