martedì 13 novembre 2012

Notizie da Lilliput 35: Holzwege


Febbraio, domenica mattina: lasciare Los Angeles alle 10, nella speranza di non incrociare troppo traffico, e guidare verso est, alla volta del Joshua Tree National Park. Ha un po’ il sapore del pellegrinaggio, questa gita nel giorno del Signore.

Si percorrono autostrade piacevolmente sgombre di veicoli, ideali per favorire la concentrazione e la meditazione sul fine ultimo del viaggio, mentre numerose insegne di case da gioco tentano il passante col loro richiamo sulfureo, inutilmente. Qualche uccello solitario solca il cielo abbacinante in cerca di svaghi temporanei.

Nuvole bianche si sfilacciano al di sopra dell’auto, nel garbato tentativo di preservare lo scampagnante dalla temperatura esterna, eccezionalmente alta per questo periodo dell’anno. Palme e onde hanno ceduto il posto a distese di giallo brunito e di marrone terrigno, punteggiate di costruzioni sparse e di arbusti contorti.
La tentazione di scrutare l’orizzonte alla ricerca di qualche avvoltoio minaccioso si fa di minuto in minuto più insistente.

A distogliere da tutto ciò, ecco d’improvviso la lunga strada, leggermente in salita, che conduce a un ingresso del parco sterminato: una pecora delle Montagne Rocciose accoglie il visitatore, regalandogli il suo belato più professionale.

Intorno, decine, centinaia, migliaia di alberi di Giosuè invocano pietà o gridano vendetta, sollevando le loro molte braccia pelose verso il sole indifferente, a tratti perfino cattivo. Dietro ogni pianta c’è una richiesta d’aiuto, dentro ogni tronco un predicatore in cerca d’ispirazione; ovunque, una dolente compostezza.

Impronte umane e animali si confondono sul terreno ghiaioso, tappezzando il percorso di rimandi preistorici; altrove, lastre di roccia scura e cespugli scomposti sono talvolta macchiati di neve bianca e dura: un alito di vento inaspettato porta nell’aria voci e suoni antichi di lingue sconosciute, idiomi cari ai profeti e ai timorati di Dio del Vecchio Testamento.

La giornata si sta rapidamente consumando, la luce forte dell’inizio va trasformandosi in pastoso tramonto: confortati dal paesaggio mistico tutt’intorno, si potrebbe parcheggiare in attesa della sera, carica di mistero e di vaghe promesse di fuochi fatui. Perché, anche se non lo si è sentito sussurrare in giro, né lo si è trovato scritto su alcuna guida, questo parrebbe il luogo perfetto per un accadimento simile. Al riparo della propria auto, seminascosti da massi alti e possenti, si potrebbe trascorrere il tempo in elettrica attesa, piacevolmente turbati dalle immagini bibliche finora raccolte.
O, più semplicemente, tornare indietro, a casa, ebbri dell’inaspettata bellezza del deserto californiano.

E.M.