Nei dintorni di San Francisco c’è un gruppo di amici
che si riunisce anno dopo anno, decade dopo decade, a fare la festa ai granchi.
Nel corso del tempo, le
facce sono cambiate: se ne sono aggiunte di nuove, facce di giovani e giovanissimi,
altre si sono perse; i capelli si sono diradati, i compagni di vita hanno
cambiato a volte fisionomia, a volte nome e età; qualcuno si è presentato con i
propri figli, magari perfino con i figli dei propri figli, ma lo spirito
goliardico degli inizi non si è mai disperso.
In un passato non
troppo remoto una, due, tre coppie di prossimi gaudenti si sono dapprima
confrontate sulla possibile riuscita di un evento celebrativo del succulento
crostaceo, studiando accurate strategie, procedendo a meticolose ricerche sul
campo, sottoponendosi a sperimentazioni certosine.
Primo passo verso il
successo, quattro di loro sono saltati sull’auto più in forma tra quelle
disponibili, alla volta di Baltimora,
città proteiforme e evocativa, meta obbligata per tutti gli amanti della fauna
e della flora marine.
Uno sguardo fugace
alla baia, la bellissima Chesapeake Bay,
le cui delizie nascoste sono senza dubbio più accattivanti della sua, seppur
affascinante, composizione orografica; un tuffo nell’acquario a ridosso del
porto, a sognare di trasformarne ogni singolo ospite in pietanza prelibata; un
prolungato e attento esame della cucina locale, principalmente a base di
granchio.
La polpa e le chele
ancora in bocca e nel cuore, gli emissari hanno fatto presto rotta verso casa,
con la mente ricolma di proposte e suggestioni e lo spirito zeppo di trasporto
e sentimento per il simpatico animaletto.
Durante il viaggio
molto si è discusso, dibattuto e perfino litigato sulle qualità organolettiche
del cibo religiosamente assaporato, prima di giungere a un vago compromesso.
Ci si è
vicendevolmente accusati di piaggeria verso il crostaceo o di vivido astio nei
suoi confronti, fomentato dal ricordo di certe stragi operate ai suoi danni da
violenti, seppure celebri, personaggi letterari; ci si è insultati e poi
riappacificati; in qualche caso, a metà tragitto, si è addirittura temuto e
tremato per l’amicizia stessa che, tuttavia, ha potuto più di qualsiasi
diversità ideologica.
Ricongiuntisi quindi
con i due rimasti a casa a tessere le trame di futuri, ipotetici simposi, si
è parlato tutti insieme, in una allegra confusione di voci, per poi
abbozzare le linee guida del primo, elettrizzante banchetto. Si sono dunque
lucidati gli argenti, inamidate le tende, fatti arieggiare stanze e corridoi,
in vista del grande giorno, del momento fatidico.
Si è pazientemente
atteso il periodo propizio per la pesca del granchio in un clima di digiuno
monastico e in un caos variopinto di ricette e ricettari provenienti da tutto il
mondo, disseminati tra tovaglie e tovaglioli di lino, cotone e carta e dischi
country e blues scrupolosamente selezionati per l’Avvento del Carapace e delle
sue promesse.
A celebrazione
avvenuta, infine, con le pance, gli occhi e i nasi rigonfi di aromi e sapori,
si è tirato un sospiro di sollievo per le tensioni ormai allentatesi, si è riso
delle incomprensioni passate e, tra abbracci affettuosi, ci si è scambiati a
mezza voce le aspettative e le speranze per la riunione successiva.
E.M.
E.M.