L’estate del 2013
sarà ricordata come particolarmente clemente, a Santa Monica.
Coccolata da un June Gloom prolungato oltre il consueto, cullata dalla brezza abituale del Pacifico, rimarrà per sempre favorevolmente
impressa nella mente di quanti, giorno dopo giorno, mese dopo mese, si siano
agitati sui marciapiedi cittadini o abbiano oziato mollemente sulla sabbia
dorata dell’interminabile spiaggia.
A lungo si rivivranno
i giochi misteriosi di onde e di palme, elementi decorativi indissolubilmente
legati al paesaggio urbano locale, che hanno segretamente gioito e intimamente
goduto di questa insperata primavera, sciabordando le une, oscillando le altre,
in un eterno rincorrersi e sussurrarsi, felici e orgogliose del proprio ruolo
all’interno della comunità.
Nelle corte sere
invernali si richiameranno alla memoria i numerosi uccelli, marini e non, che
abbiano solcato l’aria con rigore matematico, riempiendola di segni impenetrabili
e di voci incomprensibili, e si sorriderà al pensiero di come quelli, ispirati
dalla frescura e dal vago grigiore, abbiano cantato con trasporto le bellezze
della terra vista dal cielo, incuranti dei moti di meraviglia o di stizza
suscitati al loro passaggio.
Ci si sorprenderà a
pensare con affetto ai turisti, presenti a decine e a centinaia, ogni giorno, a
qualsiasi ora, ovunque, e tutti concordi nel magnificare quel tempo
inaspettato, ventilato e asciutto, che avrebbe permesso loro di sfruttare
appieno la vacanza, spingendoli a sgattaiolare fuori dell’albergo anche quando
il sole, in altre circostanze, avrebbe dovuto portare a più miti consigli.
Liberi di curiosare
in giro, leggeri della leggerezza concessa loro dall’assenza di afa, sarebbero
perciò usciti alla chetichella, punteggiando le strade e le piazze di colori
sgargianti e vivacizzando lo spazio di tanti, inafferrabili, idiomi.
Alle tre del
pomeriggio avrebbero invaso le caffetterie, in cerca di bevande dissetanti (non
necessariamente fresche); alle cinque sarebbero entrati e usciti dai negozi
disseminati lungo le arterie e le vene del centro città; mentre alle sette,
dopo una rapida cena, avrebbero iniziato la discesa verso il litorale, del
quale ammirare finalmente le luci e le ombre, nello sgangherato tentativo di
confondersi con la natura circostante.
Gli autoctoni,
frattanto, quelli che poi avrebbero impresso nella propria mente e nella
propria anima i molti tratti dell’estate inusuale, si sarebbero lasciati
contagiare e commuovere dal brio e dall’intraprendenza straniere, dimostrandosi
oltremodo ospitali e pronti a soddisfare qualsiasi richiesta, perfino la più
bizzarra.
Mentre uno scrittore,
un poeta, nell’ombra, avrebbe preso appunti di viaggio, danzando con le parole
e le suggestioni al chiaro di luna, mite, della California del sud.
E.M.
