venerdì 23 agosto 2013

Notizie da Lilliput 122: Summer Days


L’estate del 2013 sarà ricordata come particolarmente clemente, a Santa Monica.
Coccolata da un June Gloom prolungato oltre il consueto, cullata dalla brezza abituale del Pacifico, rimarrà per sempre favorevolmente impressa nella mente di quanti, giorno dopo giorno, mese dopo mese, si siano agitati sui marciapiedi cittadini o abbiano oziato mollemente sulla sabbia dorata dell’interminabile spiaggia.

A lungo si rivivranno i giochi misteriosi di onde e di palme, elementi decorativi indissolubilmente legati al paesaggio urbano locale, che hanno segretamente gioito e intimamente goduto di questa insperata primavera, sciabordando le une, oscillando le altre, in un eterno rincorrersi e sussurrarsi, felici e orgogliose del proprio ruolo all’interno della comunità.

Nelle corte sere invernali si richiameranno alla memoria i numerosi uccelli, marini e non, che abbiano solcato l’aria con rigore matematico, riempiendola di segni impenetrabili e di voci incomprensibili, e si sorriderà al pensiero di come quelli, ispirati dalla frescura e dal vago grigiore, abbiano cantato con trasporto le bellezze della terra vista dal cielo, incuranti dei moti di meraviglia o di stizza suscitati al loro passaggio.

Ci si sorprenderà a pensare con affetto ai turisti, presenti a decine e a centinaia, ogni giorno, a qualsiasi ora, ovunque, e tutti concordi nel magnificare quel tempo inaspettato, ventilato e asciutto, che avrebbe permesso loro di sfruttare appieno la vacanza, spingendoli a sgattaiolare fuori dell’albergo anche quando il sole, in altre circostanze, avrebbe dovuto portare a più miti consigli.

Liberi di curiosare in giro, leggeri della leggerezza concessa loro dall’assenza di afa, sarebbero perciò usciti alla chetichella, punteggiando le strade e le piazze di colori sgargianti e vivacizzando lo spazio di tanti, inafferrabili, idiomi.

Alle tre del pomeriggio avrebbero invaso le caffetterie, in cerca di bevande dissetanti (non necessariamente fresche); alle cinque sarebbero entrati e usciti dai negozi disseminati lungo le arterie e le vene del centro città; mentre alle sette, dopo una rapida cena, avrebbero iniziato la discesa verso il litorale, del quale ammirare finalmente le luci e le ombre, nello sgangherato tentativo di confondersi con la natura circostante.

Gli autoctoni, frattanto, quelli che poi avrebbero impresso nella propria mente e nella propria anima i molti tratti dell’estate inusuale, si sarebbero lasciati contagiare e commuovere dal brio e dall’intraprendenza straniere, dimostrandosi oltremodo ospitali e pronti a soddisfare qualsiasi richiesta, perfino la più bizzarra.
Mentre uno scrittore, un poeta, nell’ombra, avrebbe preso appunti di viaggio, danzando con le parole e le suggestioni al chiaro di luna, mite, della California del sud.

E.M.

giovedì 22 agosto 2013

La bella di Cabras di Enrico Costa

“Il forestiero che visita la Sardegna – scrive Enrico Costa – e volesse portar seco un’impressione vera degli uomini e della natura, degli usi e costumi antichi nei principali punti dell’isola, non dovrebbe tralasciare la festa dei Candelieri a Sassari, la festa di Sant’Efisio a Cagliari, la pesca del tonno nelle tonnare di Carloforte, la grotta di Nettuno in Alghero, le miniere di Montevecchio e di Monteponi in Guspini ed in Iglesias, una gita sul Gennargentu e sui monti di Limbara a Tonara ed a Tempio, una passeggiata in barca sul fiume di Bosa e la pesca dei muggini nelle peschiere d’Oristano”.

E proprio quest’ultima regione della Sardegna fa da sfondo a La Bella di Cabras, romanzo storico tradizionale sardo pubblicato da Enrico Costa a puntate sulla rivista L’Avvenire di Sardegna tra il dicembre del 1887 e il marzo del 1888. Un’ambientazione di grande effetto che permette di conoscere in maniera dettagliata il Campidano e le sue genti, così diverse dai “montanari” della Barbagia descritti dalla Deledda o dai galluresi immortalati, sempre dal Costa, ne Il muto di Gallura.

Una storia d’amore impossibile che si svolge negli anni Sessanta dell’Ottocento. Protagonista è la bella e sensibile Rosa (denominata da tutti la Bella di Cabras per il suo incredibile splendore) la quale, dal villaggio costiero, si vede costretta ad andare a servire ad Oristano, presso una casa di nobili e signoricus, dove conoscerà l’amore e la passione, la colpa e il tormento; e dove scoprirà quel “silenzio strano, che dà a quel paese un certo non so che di misterioso che si fonde col carattere orientale di quelle case basse e grigie, col cielo splendidissimo, e con quella tinta calda e vaporosa che sembra avvolgere tutta la campagna circostante”...

Novella popolare drammatica al confine tra leggenda e realtà, il Costa scrisse questo “racconto sardo” con lo scopo “di poter parlare della nostra Sardegna, tentando di descriverne, con un pretesto più o meno storico, i paesaggi, gli usi, i costumi delle diverse regioni che la compongono”. Sì, perché se la Deledda fu la narratrice di Nuoro e della Barbagia, il Costa deve essere considerato il narratore della Sardegna, colui il quale riuscì a far conoscere al grande pubblico l’Isola intera, “dalla Gallura al Monteacuto, dal Goceano alla Planargia, dalla Barbagia all’Ogliastra, dal Campidano al Gerrei, dalla Marmilla al Sulcis”, narrandone le storie e indagandone le tradizioni popolari, molte delle quali raccolte sul campo, che costituiscono una parte importante degli scritti dell’autore sassarese.

Tuttavia non mancano, anche in questo romanzo, le notizie di carattere storico e le impressioni dei viaggiatori che visitarono la Sardegna a partire dal Settecento: Valery, Lamarmora, Bresciani, e altri ancora, autori coi quali egli si confronta con assiduità e interesse.

Per queste ragioni La Bella di Cabras si presenta come un’opera interessante dal punto di vista letterario, ma anche da quello antropologico e storico, che indaga le più profonde passioni umane e le dinamiche sociali che, ieri come allora, fungono da ostacolo, impedendo il naturale fluire dei sentimenti e delle emozioni che danno significato alla vita, perché “l’inferno è quel posto dove non c’è amore” e che spesso assomiglia proprio alla nostra terra.

L'autore
Enrico Costa nacque a Sassari l’undici aprile del 1841. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: le novelle, Il muto di Gallura, La bella di Cabras, Adelasia di Torres, Giovanni Tolu, Da Sassari a Cagliari. Morì a Sassari il ventisei marzo del 1909.

L'eBook
Questo libro elettronico, dotato di un funzionale sommario, è stato progettato per essere utilizzato in maniera ottimale sui dispositivi di lettura digitale. Il testo è stato sottoposto a un attento lavoro di editing ed è stato regolarizzato secondo le norme grafiche attualmente in uso, in modo da agevolarne la lettura e la fruizione.