Il tendone a strisce gialle e
azzurre ricorda, per forma e dimensioni, quelli di tanto tempo fa, quando nani
e giganti, gemelle siamesi e barbuti mangiatori di fuoco rappresentavano ancora
una novità eccitante, un incanto bizzarro da temersi e da ammirarsi.
Il molo tutt’intorno,
solitamente vivace durante il fine settimana, in questo sabato di inizio marzo
sembra addirittura sul punto di sprofondare, sotto il carico di corpi e di
visi, di aspettative e di emozioni che precede, come sempre capita in simili
occasioni, lo spettacolo circense.
A spiegare perfettamente le
orecchie, nel lento processo di avvicinamento alla struttura, si possono quasi
sentire le note, di volta in volta incuriosite o sospettose, frementi o pacate,
di quanti siano già comodamente seduti in attesa che le luci si affievoliscano
e la coreografia abbia inizio.
Sul palco gigantesco, come è
bene che sia, se a piroettarvi sopra sono gli acrobati del Cirque du Soleil, la
scenografia invita alla calma e alla meditazione.
Alti ciuffi d’erbe palustri,
lambiti dalla risacca pigra di una pozza d’acqua (di lago, di mare, di fiume, a
seconda delle storie raccontate), si presentano immediatamente alla vista,
rinfrescando e disperdendo l’insolita calura estiva percepita fino a un momento
prima.
Un pagliaccio zelante,
intanto, ha iniziato a intrattenere il pubblico, riassegnando sedili,
confiscando pop corn; accelerando, cioè, il necessario processo di
immedesimazione che tuttavia, a giudicare dalle tante parole sospese nell’aria,
ha raggiunto, di minuto in minuto, quasi il culmine.
All’improvviso, sull’allegria
serpeggiante tra le composte gradinate, si fa buio e un unico, enorme,
riflettore punta il proprio occhio, giallo e pastoso, su una figura dall’aspetto
anacronistico, antica quanto l’arte che incarna.
Il presentatore, vestito di
un’elegante uniforme rossa e dorata, alla maniera di un cavallerizzo del
passato, con gesti sobri e risoluti induce a un rigoroso silenzio, mentre
dall’alto, dal cielo lontano, una luna argentea cala, con movimenti sinuosi e
ipnotizzanti, su uno stagno di rane e d’altri anfibi, a illuminarne le vicende,
a risolverne i conflitti.
D’ora in poi, di quadro in
quadro, di stanza in stanza, di sequenza in sequenza (ché in casi come questi,
come in Totem, non è consigliabile
ridurre la meraviglia a un “mero” susseguirsi di azioni sceniche), si viaggerà
nei secoli e nella storia del mondo e dell’universo, all’inseguimento
dell’evoluzione della specie e delle specie, in un girotondo fatto di equilibristi
e di pattinatori, di comici e di musicisti, di trapezisti e di cantanti capace
di cancellare la quotidianità dalle menti annoiate e la stanchezza dai fisici
spossati.
E.M., Santa Monica