lunedì 11 febbraio 2013

Notizie da Lilliput 72: La terra vista dalla collina

San Francisco è una città sadica e al tempo stesso generosa. Sadica perché spesso costringe a un esercizio fisico estenuante, su e giù per colline che sembrano montagne; generosa perché, quando si pensa ormai d’essere sul punto di desistere, regala un parco completo di mostra d’arte e una cattedrale con le campane a festa, un tram pieno zeppo di suoni e la vista del Bay Bridge, inaspettato e inondato di sole.

Per questo motivo San Francisco, a volte, dà perfino alla testa. La sua scoperta, infatti, inizia solitamente in maniera allettante, tra negozi e caffetterie che richiamano più una città europea, elegante ma non algida, che una metropoli americana.

Con le spalle all’Embarcadero, il molo dalle tante anime — godereccia, turistica, culturale — che sembra aver viaggiato nottetempo da Lisbona per trasferirsi in questo angolo di mondo, si imbocca Market Street, la strada chiassosa, fatta di traffico, di banche, di palazzi neoclassici e di uffici ultramoderni, a caccia di dettagli, di scorci indimenticabili.

Il naso per aria e gli occhi spalancati per la meraviglia, si ha l’impressione di non aver mai lasciato il Vecchio Continente, di non essere mai sbarcati nel Nuovo Mondo: tutto, qui, ha un’aria familiare, un aspetto consueto.
A intervalli irregolari si aprono ai lati della passeggiata sbocchi signorili, raffinati, nei quali imbattersi in file pazienti di persone in attesa del tram, in negozi dai marchi prestigiosi, in atri dai marmi immacolati e dalle luci soffuse.

A lungo silenziose e obbedienti, le gambe, tuttavia, possono esprimere ora un parere diverso, costringendo a una brusca virata verso l’alto, nel tentativo di sfuggire allo squallore che, da un certo punto in poi, sembra impossessarsi inevitabilmente della strada sulla quale hanno camminato finora: un’occhiata penetrante al predicatore folle che arringa passanti distratti e via, su per il pendio, verso un’aria più frizzante e pulita.

Mason Street o Taylor Street vengono dunque prontamente in soccorso, attirando pedoni e automobili con la promessa di quartieri migliori o panorami mozzafiato; e mantenendola, almeno parzialmente.

Ciò che, infide, non rivelano, è la fatica necessaria a percorrerle: accoglienti e incoraggianti, dopo pochi passi mostrano, infatti, una natura più maligna, spingendo il malcapitato bipede a uno sforzo notevole, in vista dell’obbiettivo finale, il raggiungimento del cocuzzolo.

La mente, tratta in inganno da una pendenza iniziale particolarmente dolce e quasi inesistente, è adesso invischiata in furiosi battibecchi all’indirizzo della topografia locale: oltrepassa, cieca e sorda, edifici vittoriani perfettamente conservati e vivacizzati da tinte allegre, lampioni di foggia antica, pareti di mattoni interamente ricoperte di piante verdi, senza apprezzarli, senza goderne.

Ma poi, d’improvviso, ammutolisce: la pena è finita, la tempesta è passata. La cima, così lontana pochi istanti prima, è finalmente conquistata e la città, grata per un simile sacrificio, ripaga nell’unico modo possibile, con le proprie bellezze, cioè, prima di inabissarsi in picchiata verso altri rioni e altre storie.

E.M., Santa Monica