Di tutte le case e le costruzioni, di tutte le ville e i palazzi
di Santa Monica, il complesso residenziale al 1001 di Washington Avenue è uno
dei più suggestivi, certamente uno dei più evocativi.
La sua posizione invidiabile, a due isolati dall’oceano e
all’incrocio esatto con la Terza Strada — che poco più in là diventerà
Promenade, area di lussi e di svaghi commerciali — sembra sottolinearne fin da
subito l’unicità.
Accentuata puntualmente dal servizio di parcheggio, generalmente
rappresentato da uno o due giovani, facce sorridenti sempre pronte al saluto, che
si prodigano giorno dopo giorno, automobile dopo automobile, a rendere quanto
più confortevole possibile l’arrivo o la partenza dei diversi ospiti.
L’elegante inferriata scura, eretta a risoluta e altera
protezione dalla strada e dai suoi molteplici pericoli, si affaccia su un giardino dagli accenti piacevolmente rinascimentali: una fontana centrale,
apparentemente sottratta a uno dei tanti castelli europei del XV secolo, e dei
vialetti geometrici ne costituiscono il vanto principale.
È la struttura, tuttavia, a concentrare su di sé il fascino e la
bellezza più inebrianti: mura severe, di un’uniforme tonalità grigia, e
impreziosite da finestre e finestrelle delle fogge più varie, come cesellate nella
pietra e nel metallo, si concedono allo sguardo ammirato del passante, che, talvolta, sente
perciò il bisogno di sostare per qualche minuto a contemplarne il muto
spettacolo.
Qui più che in qualsiasi altro posto in città, si avvertono
nell’aria le vite vissute nel corso del tempo; qui molto più che in qualsiasi altro posto in città, si respirano i
ricordi di chi è stato e non è più.
Forse l’aspetto severo dell’edificio, così simile a quello di un
monastero di clausura, del quale riporta fedelmente i tratti più caratteristici
e significativi — fatti di tensione verso l’alto e di aspirazioni buone e
giuste — conferisce a quest’angolo di Santa Monica un’atmosfera particolare, preziosa
nella sua essenzialità.
Lo sa bene il viaggiatore che, passandovi di fianco
frettolosamente, a caccia di abituali attrazioni turistiche da immortalare e di
cui in seguito parlare, al pari di un mitologico navigatore, si riscuote
improvvisamente dal proprio torpore, rispondendo al richiamo irresistibile di
quelle aperture e di quei portoni, di quei comignoli e di quei balconi.
E che, sconvolto nell’animo dalla malia che sul luogo grava, che
qui lo incatena con un misto di gioia e struggimento, non può fare altro se non
cedere alla suggestione e, chiudendo gli occhi, rassegnarsi a accogliere le
storie della pietra e dei suoi fantasmi.
E.M., Santa Monica

