domenica 29 luglio 2012

Notizie da Lilliput 4: Con i Monty Pithon sul ponte di Brooklyn

Oggi è stata la volta di Lower Manhattan. Mancavo da New York da troppo tempo per non decidere, con attitudine leggermente ossessivo-compulsiva, di rivisitare giorno dopo giorno i posti a me più cari con una prospettiva, vuoi geografica, vuoi personale, possibilmente diversa. 

Diretta al South Street Seaport che, a dispetto dell’anima profondamente commerciale, nasconde ancora il fascino delle cose passate, mi sono ritrovata imbottigliata per sbaglio nel flusso di turisticarrozzinebiciclettecaniefischietti in fila disordinata sul ponte di Brooklyn. Non avendolo mai attraversato a piedi, ho deciso di restare. 

A metà percorso, pur iniziando a pentirmi della mossa avventata, ho continuato a camminare: l’altra sponda del fiume era davvero troppo vicina per battere in ritirata! Nemmeno la pioggerella fitta, col suo carico di scomodità (prendi l’ombrello dallo zaino, rimetti dentro la guida, non bagnare il cellulare…), è riuscita a smuovermi. 

E presto, in fondo, sono stata anche ricompensata di una simile perseveranza: imitando svogliatamente quanti mi circondavano a usare la macchina fotografica, infatti, mi sono ritrovata a ammirare, e a immortalare per quanto possibile, la vista che del Financial District si ha da quel punto. Uno sguardo dal ponte, insomma. 

È stato allora che ho capito (o meglio, mi piace pensare che così si siano svolti i fatti di seguito riportati) che i Monty Pithon, nell’ideare la sequenza del piccolo veliero che rompe gli ormeggi per assaltare i grandi squali della finanza, si sono ispirati a questo angolo di mondo, dal quale i grattacieli sembrano effettivamente colossi pronti a inghiottirti, salvo poi venire inghiottiti essi stessi. 

Il giro sarebbe dovuto proseguire a Wall Street, ma poi, non so quanto consapevolmente o meno, sono approdata a Tribeca. Non mi occupo (né capisco granché) di grandi numeri e alte manovre perciò, rendendomi conto d’aver saltato quella tappa, non mi sono sentita in particolare difetto. 

Di questi tempi si è già detto e scritto tanto sulle rivoluzioni, o involuzioni, economiche e sui manifestanti di “Occupy Wall Street”; non mi pare serva aggiungere niente. Del resto, il mio personalissimo ideale contempla piccole compagnie di assicurazioni che ammainano le vele per dichiarare guerra ai Signori delle grandi società. Un’utopia, naturalmente. O forse, più semplicemente, una licenza poetica, una fantasmagoria cinematografica.

E.M., New York City