lunedì 10 settembre 2012

Notizie da Lilliput 18: Cromie californiane

(Ri)vedere Chinatown e esplorare Los Angeles.
(Ri)leggere Bay City Blues e passeggiare sul lungomare di Santa Monica.
Per immergersi nell’atmosfera sottile di quest’angolo di California, sembra essere consigliabile munirsi di speciali lasciapassare capaci di disperdere l’eventuale delusione di fronte a strade troppo larghe e (ordinatamente) trafficate o a viali alberati vuoti di macchine e persone. Questo, perlomeno, è ciò che pensavo in volo la mia prima volta verso la costa occidentale degli Stati Uniti, esibendo all’ignaro Virgilio un falsissimo sorriso di circostanza e stramaledicendo la mia incuria nel non stipare la valigia di libri e DVD di salvataggio.

Al contrario, si inizia a tirare un sospiro di sollievo poco dopo aver superato la Loyola Marymount University nelle vicinanze dell’aeroporto dove, tra corsie sconfinate, complessi residenziali da centinaia di migliaia di dollari e qualche locale dai muri scrostati e dal menù tristemente fisso, occhieggiano i palazzi variopinti e mai noiosi di Venice, una delle tre propaggini a mare della metropoli losangelina.

Camminare da queste parti è molto piacevole: shopping e spiaggia a parte, ci si può infilare tra i canali e canaletti del cuore storico della comunità balneare, nelle cui case in legno colorato sbirciare alla ricerca di qualche volto noto (come quello di uno dei creatori di South Park), o di una tregua dalla presenza invasiva dei moscerini, attratti dalle acque scure e dalle luci brillanti delle tante lampade decorative appese un po’ ovunque, quasi a celebrare un Natale perenne.

Facile, penserà qualcuno, cedere al fascino di uno scorcio che ricorda tanto da vicino Venezia, Colmar o Friburgo, equivocando un simile atteggiamento per quello dell’europeo in vacanza che storce il naso di fronte alle scopiazzature a stelle e strisce ma che, al contempo, segretamente gode nell’annotare tutte le citazioni che gli restituiscono la sua irrinunciabile patente di superiorità culturale.

Forse è il caso di affrettarsi ora verso le Palisades da cui ammirare l’interminabile litorale di Santa Monica, ex cittadina sonnacchiosa alla Raymond Chandler e adesso vivace centro abitato da circa 90.000 persone tra cui, a intermittenza, ci sono anch’io. Dimenticando le architetture inimitabili di Chicago o gli scorci irripetibili di New York, tanto per citare un paio di esempi, ci si può ritagliare anche qui un quadrato di felicità.

Lungo le strade ordinate e pulite si affacciano costruzioni di stili diversissimi tra loro eppure capaci di armonizzarsi perfettamente gli uni con gli altri, popolate di esseri viventi (a due o quattro zampe) ospitali e amichevoli, costantemente impegnati nello svuotamento metodico delle proprie cantine e/o soffitte.

Girando da queste parti è ormai impossibile ritrovare quei volti scavati nel bianco e nero di tanti personaggi hard-boiled degli anni ’30 e ’40: i detective lacerati e acquattati nell’ombra delle residenze dai muri bianco abbacinante e le dark ladies dalle esistenze misteriose e effimere loro compagne hanno ceduto il posto agli aspiranti cineasti, alle giovani famiglie, ai salutisti dell’ultima ora e, naturalmente, agli immancabili bagnanti in infradito e boxer stazzonati 365 giorni all’anno.

Locali dedicati alla cura del corpo e della mente si affastellano lungo i lati di Main Street e Montana Avenue, alternandosi a caffetterie e ristoranti dai gusti rigorosamente “organic” (una delle tante ossessioni dell’America opulenta e obesa), sconfessando le sensuali volute di fumo e gli antri male illuminati di un classico noir d’annata.

Anche Los Angeles, del resto, a parte il sempiterno Beverly Hills Hotel, ha rinnovato la propria immagine, disperdendo i chiaroscuri cinematografici a vantaggio di colori più solari e chiassosi, lavorando testardamente a un tentativo di amalgamazione tra le sue diverse anime, ancora di là da venire.

A conti fatti, e nonostante l’atteggiamento snobistico dell’appassionata d’arte e di cultura che glorifica l’europeismo smaccato della costa orientale, dunque, mi sono felicemente risolta per una pacifica convivenza col diverso, accantonando il ricorso a passati di carta o celluloide e assaporando invece la novità di una policromia sempre sorprendente e stratificata.

E.M.