Abitando a Los Angeles può capitare, presto o
tardi, di avvertire la necessità — o semplice curiosità — di risalire la costa
fino a raggiungere San Francisco,
per i più svariati motivi. Inutile dire che è capitato anche a me,
invariabilmente scortata dal Virgilio,
raro caso al mondo di guida del tutto incapace
di senso dell’orientamento.
Resistere al fascino
di suoni e immagini più e più volte sentiti o viste, Carmel, Santa Barbara,
Monterey, Salinas, è
oggettivamente difficile: ignorate, dunque, quanti vi suggeriscano la via meno
lunga (“appena” cinque ore di Interstate5), a vantaggio di quella più tortuosa, ma incommensurabilmente più
appagante, in parte ricalcata sull’antico e fascinoso Camino Real di ispanica
memoria.
Incrociare la discesa
a mare del Sunset Boulevard,
superare o essere superati da mandrie di motociclisti quasi più finti dei loro
omologhi cinematogafici, sbirciare tra i leoni marini placidamente addormentati
lungo le rive del Pacifico o
malignare sugli orrori estetici dell’impero immobiliare di Hearst, tuttavia, può celare uno spiacevole risvolto dalle
molteplici implicazioni, geografiche in primo luogo quando non addirittura
sentimental-esistenziali.
Una simile sciagura
porta un nome all’apparenza innocuo, perfino buffo alle orecchie vergini di chi
non abbia mai affrontato il tratto di Highway 1 che da Los Angeles si srotola verso nord: Oxnard, anodina città dai confini proteiformi e in continuo
movimento, pronti a accogliervi amichevolmente per poi richiudersi d’un colpo
alle vostre spalle, inghiottendovi senza pietà.
Diradatesi quelle
nebbie che spesso avvolgono gli automobilisti appena sfuggiti al traffico
balneare, tanto più poetiche e ipnotiche quanto più fuorvianti in un panorama
di sabbia e acqua, perciò, tenetevi saldamente ancorati al vostro Io, perché di
qui a poco potreste smarrirlo insieme al ben dell’intelletto o al vostro/a
compagno/a, nella peggiore delle ipotesi possibili, infilandovi, e quasi
matematicamente perdendovi, nei meandri infernali della località suddetta.
Come uno spettro
inquietante, aleggia nelle conversazioni di conducenti terrorizzati, che a lei
si riferiscono per mezzo di perifrasi e similitudini quasi temendo il suono
stesso del suo nome, contribuendo in tal modo a arricchire una già nutrita
mitologia di particolari sempre più oscuri e agghiaccianti.
Andateci in una
mattina gialla di sole e verificate di persona: verrete tratti in inganno da un
bagliore improvviso, da un canto inaspettato (il clacson di un pick-up, più che
una malia di sirene), e subito vi troverete in un altrove di strade lunghe e
spoglie, con il vostro autista sull’orlo di un collasso, pronto a scattare e a
scaraventarvi giù dall’abitacolo al minimo cenno di insofferenza o dubbio
malcelato sulle sue effettive capacità sensoriali.
Nemmeno un Virgilio,
allora, vi sarà di conforto alcuno: al contrario, contribuirà a rendere sempre
più insopportabile l’atmosfera surriscaldata dal motore sotto sforzo e dalla
mancanza di orizzonte, producendosi in imprecazioni, a mezza voce o a voce spiegata,
scaraventate con veemenza contro i sedili e i finestrini dell'auto che, chissà
per quanto ancora, vi contiene e sopporta.
Prima di recuperare la giusta prospettiva e la strada maestra, girerete intorno allo
stesso asse per un tempo all’apparenza infinito, tanto e tanto a lungo da sentirvi svuotati e
sfiancati dal movimento stesso. Vi sembrerà quasi d’essere intrappolati
all’interno di una dimensione magica dai contorni quanto mai ristretti, che
solo un guizzo di immaginazione potrà frantumare, liberandovi. A quel punto,
nella stessa, imperscrutabile, maniera, vi ritroverete in vista della U.S. Route 101, in direzione di Santa
Barbara, pronti a allentare la tensione con una risata ripensando, con un
brivido, al rischio corso avventurandovi nel territorio ignoto di quanti,
smarrita la strada, faticano non poco a rientrare in carreggiata.
E.M.
E.M.
