Toronto è una bella città perché sorprende e
stordisce.
Toronto è una bella città che sorprende e
stordisce perché quando uno pensa d’averla capita, eccola lì, a dare nuovi
segnali e a suggerire cambiamenti di rotta.
Se si è così fortunati da viverla con qualche
nuvola bassa, grigia e poco raccomandabile, poi, si è a pochi passi
dall’esperienza perfetta. Ovunque ci si giri, infatti, soprattutto lungo
l’interminabile Queen Street West, accanto a costruzioni basse e dall’aspetto
spesso fatiscente (nelle quali il turista-spettatore preferisce non metter
piede, per paura di spezzare l’incantesimo che sente attorno a sé), fanno
capolino aperture più o meno larghe, simili a spazi lasciati in bocca da denti
mancanti, che le nuvole spesse e cupe riempiono come di ovatta, neanche fossero
tamponi cilindrici di cotone filamentoso.
A un occhio più attento, tuttavia, o forse
diversamente allenato, quegli stessi spazi richiamano alla mente passaggi
stretti in cui infilarsi in cerca di protezione dal malintenzionato di turno: i
muri di mattoni rossi ricoperti di edera verde che avvolgono, quasi
richiudendoglisi sopra, il fuggiasco, sono da tempo immemore quieti testimoni
di loschi traffici e di appuntamenti al buio, mentre le recinzioni sbilenche, che
talvolta si alternano alle pareti scrostate, rivelano giardini abbandonati e
cancelli di reti metalliche malfermi sui propri cardini.
Proseguendo verso ovest, lungo Bathurst Street, si rafforza la sensazione che, oltre le facciate dei molti palazzi a uno,
o al più due piani, si nascondano i componenti della famiglia Addams
bizzarramente abbigliati secondo la moda tipica della nuova frontiera
americana: gli ambienti che in realtà celano caffetterie minimal-chic o
negozietti d’alta moda, infatti, all’esterno richiamano saloon o abitazioni
tipiche da Far West. Qualche metro oltre, invece, ci si può credere catapultati
tra immigrati polacchi e russi in abiti ottocenteschi raccolti intorno ai
diversi centri di culto, rispettivamente cattolico e ortodosso, ma paradossalmente
indulgenti verso qualche svago o attività ai limiti del legale.
È incrociando College Street, uno dei
cardini della Little Italy locale, tuttavia, che si ha un’altra, inaspettata esperienza:
le costruzioni che hanno accompagnato il passante fin qua, e che non a caso
sono spesso servite da sfondo per produzioni televisive o cinematografiche
ambientate a Brooklyn, nel Bronx o a Philadelphia nelle più diverse epoche
storiche, cedono il passo, quasi reverenzialmente, a strade e viali ordinati e
lussureggianti, intorno ai quali si stiracchiano eleganti villette (talvolta
ville) di legno e muratura, complete di steccati (bianchi) e porticati in tinta
con gli infissi alle pareti.
È a questo punto che, per la sorpresa, si
strabuzzano gli occhi e ci si massaggia con vigore le palpebre: lo scenario cui
si era abituati, fatto di avventori vocianti, studenti universitari alle prese
con i bicchieroni di caffè alla vaniglia e maniaci dello shopping, si è
infallibilmente trasformato in un panorama di prati tosati il sabato
pomeriggio, macchine lustrate la domenica mattina e, nella migliore delle
ipotesi, torte lasciate a raffreddare sul davanzale della finestra di cucina,
nell’assoluta certezza che il vicino per bene non affonderà le proprie dita
nella preziosa, e costosa, farcitura.
E.M., Toronto