giovedì 4 ottobre 2012

Notizie da Lilliput 24: Whiskey e vecchi merletti


A Toronto c’è un quartiere, il quartiere universitario, in cui le linee architettoniche, variegate ma abbastanza nitide, delle costruzioni fino a quel momento incrociate, si fondono le une con le altre, amalgamandosi in forme bizzarre che, se descritte, sembrano scaturire da un libro di fantasia, piuttosto che da una puntuale osservazione del reale.

Camminando con il naso per aria e la bocca spalancata per la meraviglia, si ha la nettissima impressione che gli archi a sesto acuto e le guglie del gotico fiorito si siano fusi in un abbraccio infinito con i tratti meno severi, al confronto quasi paciocconi, delle case vittoriane, partorendo una serie pressoché illimitata di affascinanti ibridi.

Abitazioni basse, generalmente a due piani, sfilano le une accanto alle altre in una lunga teoria di fianchi troppo larghi sotto teste oblunghe o di capelli ricci fino a diventare crespi a incorniciare occhi languidi da bovindo georgiano. Esattamente come per gli esemplari della razza umana, anche nel loro caso è impossibile scovarne due identici.

In un’atmosfera simile stonano gli studenti che, a gruppetti di due, tre o più, macchiettano i marciapiedi puliti e le aree loro espressamente dedicate: la consueta abbondanza di forme e di colori che accompagna i giovani, infatti, mal si accorda al tono generale, cui andrebbero affiancati mocassini in vernice nera e tessuti scozzesi, anziché jeans grinzosi e canotte trasparenti.

Chiudendo gli occhi, tuttavia, la sgradevole frizione tra passato e presente si attenua fin quasi a scomparire, permettendo all’osservatore di assaporare ancora un po’ le immagini impresseglisi sulle palpebre e di riempire i vuoti lasciati dalle sagome contemporanee con qualche tocco o altro paludamento più adeguato.

Seguendo la scia di incenso e crinoline verso la parte meridionale della città, poi, oltrepassato il St. Lawrence Market in cui facilmente si potrebbero intuire le figure di Molly Malone e del suo carretto, si raggiungono il Distillery District e i suoi giganteschi palazzi di mattoni rossi e edera verde.

Qui, dove un tempo le autorità religiose e i puritani storcevano senza dubbio il naso sussurrandosi all’orecchio disgusto e riprovazione per la produzione di whiskey e le attività a essa collegate, sorge la più imponente eredità architettonica vittoriana di tutta l’America settentrionale.

Sul viale centrale, largo e ben proporzionato, si affacciano vicoli-scrigno, pronti a rivelare inaspettate architetture e scorci indimenticabili, mentre panifici stretti, lunghi e poco illuminati, difficilmente affrontabili da gonne voluminose alla maniera ottocentesca, si alternano a caffetterie, i cui ballatoi di legno scuro e severo attenuano la giocosità simil-parigina dei ricchi lampadari e degli altri complementi d’arredo.

Eppure, osservando meglio, il tempo rigorosamente scandito dalla ripetitività delle mansioni ha ceduto oramai il posto alla piacevole mollezza delle giornate dedicate allo shopping o all’esplorazione della città, depositandosi sui cocuzzoli degli alti camini industriali, a guardia dell’intero sito e del suo irrecuperabile passato.

E.M., Toronto