mercoledì 17 ottobre 2012

Notizie da Lilliput 30: Lucy's and I


Entrare da Lucy, a Chippewa Falls, è un po’ come entrare in un telefilm degli anni ’60, sorrisi inclusi. Dietro il bancone, che attraversa verticalmente il lungo locale, occhieggiano bontà d’ogni sorta e formato: pani e pagnotte, cetriolini e formaggi, peperoncini e salse, verdure fresche e carne di cinghiale, intingoli di disparata origine e, naturalmente, dolci artigianali. Il paradiso del goloso o l’inferno dell’indeciso.

Ragazze e ragazzi svelti, dal chiacchiericcio ammaliante di sirena, accolgono il cliente avvolgendolo in una spirale conturbante di profumi, di colori e di parole allo scopo, nemmeno troppo nascosto, di costringerlo a una discesa nel piacere puro e semplice.

La giovane perennemente a dieta o l’uomo invariabilmente stritolato dal colesterolo  alto vivranno momenti difficili, a ridosso del vetro ricoperto di scritte allegre dai suoni invitanti che separa il futuro penitente dall’incanto gastronomico rigorosamente fatto in casa. La sola speranza, per loro, è quella di rinunciare a varcare la soglia tintinnante che, come nel peggiore degli incubi, risveglia i dipendenti, magari a riposo con una tazza di caffè fumante in mano, inviandoglieli contro, quasi una sorta di leggendaria nemesi.

Qualche stoico, forse a caccia di conferme alla propria durezza d’intenti, tuttavia, siede di quando in quando ai tavoli di legno chiaro, separati gli uni dagli altri per mezzo di sedili alti e comodi, imbottiti di stoffe in tinta col resto degli arredi. Ma, a uno sguardo più attento, non sembra gioire particolarmente. Un'occhiata sfuggente, obliqua, oltre la tazza di brodo di manzo privo di orpelli la lancia pure, alla volta delle delicatezze proibite, liberando perfino, del tutto involontariamente, un suono indistinto, a metà tra il rammarico e il lamento: è il rimpianto, rimpianto per la decisione presa nei confronti del cibo che, ora, gli si rivolta contro.

Poco più in là, due donne confabulano ininterrottamente, scambiandosi bocconi appetitosi e pettegolezzi succulenti, incuranti della sofferenza del vicino e delle notizie che aspettano d’essere lette sul quotidiano locale, soffocato dai cappotti e dalle sciarpe adagiategli sopra con cura certosina.

Il brusio dei dipendenti, sottofondo costante del locale, spesso accompagnato da una rassegna di canzoni rétro, in tono con l’ambiente, tace d’improvviso nell’ampia sala adiacente, in cui, come talvolta accade nei piccoli centri, la ristorazione si fonde con il suppellettile, l’ornamento floreale e l’abito da cerimonia.

Il turista e il curioso godono qui di un momento di prolungato benessere. Sugli espositori dalle sfumature pastello, infatti, riposano articoli d’ogni sorta: maglie e felpe, bottiglie di vino e di liquore, barattoli di marmellate e di conserve, biglietti beneauguranti e carta da lettere, candele e olii profumati, angioletti in legno e in vetro.

Semideserto nel primissimo pomeriggio, quando le strade si svuotano del solito formicolio di esseri umani e di animali, questo grande spazio, nonostante il bizzarro accostamento di elementi disparati, riporta in avanti l’orologio fermatosi bruscamente con lo scampanellio d’ingresso: è giunto il momento, per la memoria, di riaprire i propri cassetti, facendoci scivolare dentro tutti i sogni e tutti i ricordi, reali o immaginati, custodendoli gelosamente fino alla prossima fermata, fino al prossimo paese incantato.

E.M., Long Lake