lunedì 3 dicembre 2012

Notizie da Lilliput 47: A Coney for Your Thoughts

Capita che Manhattan, a volte, non abbia tutte le risposte. Poco importa che ci sia il sole, che Central Park ammicchi invitante o che da Bloomingdale’s ci siano sconti da capogiro. Manhattan, a volte, semplicemente, non ha tutte le risposte.

E allora, per poter scongiurare la noia che, infida, assale anche il turista più caparbio, è necessario guardarsi intorno, ampliare i propri orizzonti alla ricerca di una prospettiva diversa, di un luogo nuovo in cui poter respirare daccapo.

New York, fortunatamente, è prodiga di possibilità, di distretti in cui gironzolare a caccia di idee o di ispirazione. Tra questi, Brooklyn è forse quello più intrigante, quello più carico di promesse e di aspettative.

Le sue strade larghe, i suoi scorci tanto simili a certi paesaggi urbani italiani, i suoi capannoni industriali a due passi da abitazioni private al di là di giardini minuscoli eppure amorevolmente curati, partecipano dell’atmosfera sospesa che rende questa zona tanto speciale.

Qui molto più che altrove, si può facilmente credere di sentire voci e suoni provenienti da ogni angolo della terra, voci e suoni appartenenti a generazioni e generazioni di immigrati oramai fusesi le une con le altre fino a diventare la lingua del posto, una lingua di accenti variegati e di guizzi molteplici.

Perfino l’apparizione improvvisa di un gruppo di uomini e di donne in abiti d’epoca, un’epoca qualsiasi, s'intona all'atmosfera: marsine e tube, brillantina e zeppe si mimetizzano presto con le tendine di pizzo bianco di una cucina anni ’50 o con le inferriate eleganti di una palazzina di mattoni rossi, quasi fossero loro appartenute da sempre.
 
Avvolti come in una fitta nebbia dalla continua oscillazione tra passato e presente, si potrebbe ora approdare al parco di divertimenti di Coney Island, forse uno dei simboli più conosciuti di Brooklyn, dove baracchini maleodoranti e tende a strisce, lettrici di tarocchi e venditori di hot dog si avvicendano in un guazzabuglio colorato di teste, di braccia, di zampe e di code, con un occhio ai gabbiani sempre in cerca di cibo e l'altro ai gitanti della domenica alle prese con la spiaggia  affollata. 

C'è chi festeggia il risultato della propria squadra del cuore, chi offre alla propria fiamma la prima aranciata tra tante, chi si sgranchisce le gambe in compagnia della propria famiglia.  E poco importa che la mafia russa sia una presenza vivace, da queste parti: al contrario, una simile consapevolezza diluisce, in virtù di un intrinseco romanticismo latente e nero, certi aspetti crudi, certi dettagli sconvenienti della realtà circostante, cancellando in un attimo, da questa punta di terra bagnata dall'oceano, le degrandanti discariche a cielo aperto e i tristi ricoveri di fortuna dei senza tetto.

E.M., New York