Una cosa, tuttavia, è
certa: attraversarlo, d’estate o d’inverno poco importa, si rivela un
interessante esercizio sociologico, applicabile indifferentemente alla
popolazione umana, transitoria e estremamente variegata, e a quella animale,
perenne e non troppo composita.
Sui suoi pendii
erbosi, tra le panchine nere o a ridosso dei ponti in miniatura, si possono
captare decine e decine di lingue diverse, tutte ugualmente musicali, tutte ugualmente
dolci: spagnolo e americano, russo e italiano, arabo e cinese si rincorrono
senza sosta, affermando punti di vista, augurando felicità, domandando ragioni.
Probabilmente in
città non c’è nessun altro posto in cui le tanto decantate differenze tra gli
abitanti dell’Upper East Side e
quelli dell’Upper West Side, motivo
di vanto per ciascuno di loro, si palesino
con altrettanta forza e vivacità. I due quartieri, l’uno con il proprio carico
di musei gloriosi, di palazzi eleganti e di anziani conservatori e facoltosi, l’altro
con la sua eredità di famiglie giovani e numerose, di edifici bizzarri e di artisti
seminascosti tra i residenti comuni, individuano terreno di scontro-incontro
comune sulle rive del laghetto o all’imbocco del piccolo zoo, sopra una delle
tante carrozze di aspetto ottocentesco o sotto i rami di un qualche albero.
Ebrei ortodossi, intanto,
dimentichi dei divieti imposti dalla loro religione, nei pomeriggi assolati si
ritrovano a disegnare eleganti volute scure a poca distanza dalle lastre di
roccia su cui coppie di amanti languono gli uni nelle braccia degli altri, davanti
allo sguardo scandalizzato di quei rigidi passanti o a quello fiducioso di uno
scoiattolo alla costante ricerca di cibo. Quando non a quello, impassibile, di una delle molte statue disseminate nel verde.
Poco più in là, classi
intere di giovani e giovanissimi scolari si esercitano all’aria aperta,
possibilmente in una giornata gialla di sole, come tante altre classi hanno
fatto prima di loro perfino durante i rigori dell’inverno locale, perfino
durante quelli, di tanto tempo fa, insopportabilmente carichi di ghiaccio e di neve.
Di quando in quando,
qualcuno degli allievi più piccoli si distrae all’inseguimento di un animaletto
comparso dal nulla, troppo veloce da raggiungere o, perlomeno, da immortalare.
La delusione, fortunatamente, dura poco più di un momento, subito cancellata da
qualche sfida più intrigante, da qualche promessa più avvincente.
Altrove, passeggini e
carrozzine formano anelli colorati e sempre diversi intorno all’ordine di
cavalli della giostra che, oramai, risuona dei nitriti impazienti e dei fremiti
selvaggi dei suoi destrieri, desiderosi di ospitare tutti i bambini, occhi
sgranati e ciucci pendenti, sulle proprie, comode selle.
Mentre le anatre,
frattanto, decidono dove andare.
E.M.
E.M.