venerdì 15 marzo 2013

Notizie da Lilliput 93: Ciak, si gira! (in macchina...)


È facile girare per le strade di Los Angeles immaginando di vivere in un altro tempo, in un altro luogo. Magari in un mondo dalle scenografie di cartapesta, nel quale case e negozi si susseguano a velocità variabile, legati al ritmo di una panoramica o di una carrellata cinematografica, a seconda del punto di vista.

In un mondo simile, i passanti sono comparse, i passeggeri dei vari veicoli sono probabili controfigure, mentre i protagonisti sono momentaneamente assenti, forse andati a farsi ritoccare il trucco, forse andati a concedersi una pausa solitaria lontano dalle grida della troupe o dagli sguardi dei curiosi, assiepati a ridosso delle transenne.

In un mondo simile, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, si arriva per caso, ignorando le indicazioni stradali relative ai grandi centri di produzione e guidando, invece, giù per i tornanti di Mulholland Drive fino a incrociare i palazzi, le piazze, le fontane del quartiere di Encino, nella San Fernando Valley.

Qui, dopo una rapida sosta all’interno di una caffetteria nascosta tra i graniti e i giardini di un centro commerciale dal sapore esotico, si può scegliere, infatti, di proseguire lungo Ventura Boulevard, una delle principali direttrici est-ovest della zona.

Lo scenario, percorse appena poche miglia, non tarderà a trasformarsi: gli alti edifici di Sherman Oaks, infatti, saranno presto sostituiti da costruzioni basse, in legno e muratura, a tratti scrostate, come si conviene a quinte teatrali inneggianti al realismo.

L’impressione, persistente, è quella d’essere sul set di un film.
La tentazione, forte, è quella di scendere dall’abitacolo per andare a toccare porte e finestre, soglie e insegne, in cerca della pecca, del particolare che ne riveli l’inautenticità.
La speranza, cocciuta, è quella di scoprire il vuoto, il cielo azzurro e le nuvole bianche dietro a ogni singola facciata.

Studio City, del resto, già dal nome rivela qualcosa di sé, come se, fin da subito, volesse mettere in guardia il visitatore, suggerendogli, nemmeno troppo velatamente, la completa inconsistenza della propria natura, effimera e evanescente come una qualsiasi forma di spettacolo o di intrattenimento.

Eppure, una volta raggiunta, non la si vorrebbe lasciare più. Di sicuro, non prima d’aver curiosato dentro i ristoranti, italiani o messicani, dentro gli studi, medici o veterinari, dentro i negozi, d’abiti o di scarpe. Mentre stucchi e colonne, timpani e mattoni, dal canto loro, citano placidamente epoche vittoriane e località europee. Ovunque si respirano fascino e decadenza, ovunque si sfiorano malinconia e disincanto.
Studio City, una volta raggiunta, non la si vorrebbe lasciare più.

E.M., Santa Monica