Il lungo nastro
d’asfalto conosciuto col nome di Beverly Glen Boulevard, dopo aver placidamente
coperto una discreta distanza, si perde all’improvviso nel celeberrimo
Mulholland Drive, lasciando il viaggiatore sbalordito della fulmineità del
cambiamento e confuso dall’ammasso di immagini che lo sommergono senza
preavviso.
Un piede
inevitabilmente sul freno, l’esplorazione prosegue cauta, quasi si diffidasse
della geografica indifferenza del luogo; quasi si temesse, da un momento
all’altro, l’assalto da parte di una qualche memoria cinematografica ribelle;
quasi si fosse certi del rinvenimento di qualche cadavere dalla consistenza di
celluloide.
Tutto ciò che si
individua, invece, è il corpo secco di un abete natalizio, bizzarramente
riverso a metà corsia, gli aghi ancora tutti orgogliosamente attaccati ai rami
ormai senza vita. L’atmosfera densa e al contempo rarefatta, simile a quella di
tanti noir d’epoca, spinge a interrogarsi sulle modalità del singolare
misfatto.
In giro, tuttavia,
non si scorge nessuno cui porre il pressante interrogativo. Non un mezzo, non
un passante, non un animale: nonostante l’indiscussa fama di questa area
losangelina, la strada pare non riscuotere più interesse.
Ma poi, in prossimità
del dirupo, si supera un’automobile parcheggiata con cura, forse appartenente a
qualcuno fermatosi a scattare foto al panorama sottostante: la possibile
presenza di altri esemplari della comune razza umana, tuttavia, lungi dal
rassicurare e rallegrare, in questo vuoto sociale preoccupa e angoscia.
Meglio, dunque,
procedere lungo il tragitto a tornanti sinuosi, piuttosto che fermare la
macchina e accostarla di fianco all’altra per un surplus di curiosità:
voltandosi indietro a osservarne la natura morta, liberando, al contempo, un
sospiro di sollievo, si avverte una sensazione simile a quella che accompagna
lo spettatore di un horror d’annata davanti alla scena del mostro apparentemente
abbattuto e invece prossimo a rialzarsi e a uccidere, una volta di più.
È arrivato il momento
di guardare al paesaggio con occhi nuovi: abbandonato velocemente il regno
delle fantasie macabre, ci si può, ci si deve, lasciar coinvolgere
dall’innegabile bellezza delle colline, degli ulivi, degli strapiombi a picco
sulla città, nascoste tra i quali si possono intuire abitazioni da sogno, ville
da favola.
È arrivato il momento
di respirare a pieni polmoni, di sgranchirsi le gambe sul ghiaino californiano: in
alto, alle spalle del visitatore occasionale, la vita, i motori, non hanno mai
smesso di correre, di fluire. È tempo che anche quaggiù, tra un’immagine in
bianco e nero e un fotogramma antico, si possa fare altrettanto.
E.M., Santa Monica