Tutte, nessuna
esclusa, hanno un enigma da svelare, una storia da raccontare.
Che si pensi a
palazzi a più piani, o a semplici villette monofamiliari, ci si ritroverà
sempre a ammirare lo stesso, incantevole spettacolo: lo spettacolo dei mattoni
che suggeriscono una visuale; lo spettacolo degli ingressi che rivelano una
vita.
Ogni giardino, e sono
tanti, racchiude un identico fascino: del tempo che passa, delle generazioni
che si susseguono, degli oggetti che invecchiano, che cambiano, che muoiono.
Ombrelloni e sedie, tavolini e tende offrono un punto d’appoggio, un rifugio
inaspettato alla frenesia della strada, alla caoticità dell’affannarsi
quotidiano.
Vialetti
perfettamente curati, in ghiaia o in muratura, conducono a graziosi patii
dall’aspetto amichevole, oltre i quali porte dalle tante sfumature custodiscono ambienti spaziosi e ovattati in cui muoversi come in sogno, come
sott’acqua.
Alcuni di questi
sentieri corrono paralleli alla costruzione verso cui conducono, inoltrandosi
nel fitto di freschi pergolati dentro cui è facile pensare a fate e folletti
intenti a pronunciare formule magiche o a ideare scherzi all’indirizzo degli
ignari vicini.
Le mattonelle che li rivestono rivelano spesso imperfezioni, suggerendo ingressi misteriosi, richiamando voci lontane.
Sotto ogni pietra ci
si inventa un mondo fantastico, dietro ogni filo d’erba ci si immagina una
creatura bizzarra.
Le case di Santa
Monica trasudano personalità, emanano carattere: da qualsiasi parte le si
osservi, più o meno attentamente, più o meno lungamente, si potrà cogliere un
barlume, si potrà scorgere una scintilla.
E gli spiriti affini, le anime elette, non tarderanno a rispondere a quell'irresistibile richiamo.
A volte si ha perfino
la sensazione, viva, vivissima, che le loro finestre sorridano, che le loro pareti
parlino. Il tetto si scoperchia e le parole e i pensieri di chi lì sotto abitualmente vive, persone, animali, cose, fluttueranno nell’aria, accarezzando
gli occhi e le orecchie dei passanti, esterrefatti e rapiti.
Altre volte, invece, sembra che i loro balconcini in
ferro battuto sospirino al ricordo degli audaci amanti ormai perduti; che i loro
comignoli spagnoleggianti danzino al ritmo di nacchere immaginarie; che le loro
decorazioni nordafricane parlino di cammelli e di oasi e di deserti remoti.
Se ciò avviene,
l’unica scelta possibile è fermarcisi di fronte e guardare, ascoltare. Con uno
sforzo di volontà davvero minimo, sarà allora possibile captare un diverso
sentire, un diverso intendere. Perché le case di Santa Monica proteggono segreti ben custoditi e ben tramandati, segreti che hanno
il colore dei film in bianco e nero, che hanno il sapore dell’oceano.
E.M., Santa Monica