Perché il vento, quello vero, quello forte, è cosa rara, in
città. E così, quando si presenta, costituisce da solo notizia sufficiente a
essere raccontata, riraccontata, ingigantita e trasfigurata a seconda dei
contesti, a seconda degli umori. A seconda di come gira.
In quella felice congiuntura atmosferica di nuvole alte, di cime
sbattute, di palme pendenti, ci si ritrova dunque a turbinare verso il Regno di
Oz, dove case e strade, abitanti e animali assumono significati differenti, si
aprono a interpretazioni altre.
Qua, infatti, le montagne all’orizzonte proteggono, giorno dopo
giorno, le teste e i corpi di chi si affretta a lavoro o di chi esce per la
spesa, di chi si trascina svogliatamente a scuola o di chi ciondola con gli
amici al bar.
Eppure, di tanto in tanto, questo ripetersi quotidiano, e monotono,
degli eventi, viene scompigliato da un refolo sfuggito di controllo, da uno
spiffero più impertinente del solito.
Marciapiedi e finestre regalano, allora, lo spettacolo
commovente e impagabile della natura che armonizza i propri elementi in un
concerto inaspettato, in una fantasmagoria coinvolgente.
Gli alberi, protagonisti indiscussi del cambiamento di
prospettiva, iniziano a flettersi e a tendersi e a flettersi e a tendersi in un
moto perpetuo, affascinante e ipnotico, che, lungi dall’annoiare, scandisce piuttosto
il ritmo delle azioni, misteriosamente legate alla velocità delle raffiche e alla
giocosità di Eolo.
I rami e le foglie si animano di sussurri noti solo a loro e a
pochi altri compagni di ventura; agli uccelli e agli scoiattoli, per esempio,
che da sempre trovano rifugio lassù e che in occasioni simili si lasciano
cullare dalle note inconsuete che l’aria porta con sé.
Tutto, ora, sembra vibrare di nuove concordanze, sembra
manifestare accenti mai sentiti, come se uno strumento musicale gigantesco,
grande quanto le piazze, quanto i vicoli, quanto le ville e quanto i palazzi messi
insieme, avesse preso a diffondere la propria melodia con noncuranza, con
indifferenza, redistribuendo i pieni e i vuoti, i bassi e gli acuti, i fiati e
le corde.
E i suoni, i rumori, il vento li porta con sé, custodendoli
gelosamente in un nascondiglio segreto e inaccessibile: stipati insieme come
gli oggetti più cari a un collezionista avido e insaziabile, tuttavia, quei
suoni, quei rumori, talvolta, avranno la meglio sul loro severo carceriere,
disperdendosi in un soffio, liberandosi in un respiro.
E.M., Santa Monica