venerdì 17 maggio 2013

Notizie da Lilliput 110: Il meraviglioso mondo di Lower Manhattan


Le strade lunghe e diritte di Manhattan, così lunghe e diritte da rendere oggettivamente difficile ogni tentativo di perdervisi dentro, all’improvviso si fanno altro, trasformando l’ordinato panorama urbano della zona settentrionale e centrale dell’isola in una miriade caotica di vicoli e vicoletti dall’aspetto fiabesco e dai nomi bizzarri.

I freddi numeri, Settima Avenue, Terza Strada, qua diventano Duane Street e Reade Street, Charles Street e Great Jones Street. Gli spazi apparentemente sterminati di corsie e di carreggiate si rimpiccioliscono fino a diventare percorsi pedonali, mulattiere di città.

La pavimentazione, asfalto scuro sferzato dalle ruote dei taxi e delle limousine, cede ora il posto a sampietrini di accento europeo, spesso uniti gli uni agli altri da ciuffetti di erba miracolosamente verde, che rendono meno agevole la camminata, ma restituiscono all’ambiente un’inconfondibile nota calda, da villaggio bretone. O da borgata romana.

Camminarci sopra, disdegnando i pur comodi marciapiedi, è un godimento che si ammanta di gioie passate, di echi lontani: il rumore schioccante delle scarpe richiama lo scalpiccio di carrozze e di ferri di cavallo, mentre l’atmosfera tutt’intorno ricorda certi castelli o villaggi medievali, inaspettatamente pregni di melodie jazz o di canti blues.

Le folle scalpitanti di turisti qua passano di rado, preferendo alla calma certosina di questi luoghi il caos e il vociare frenetico dei quartieri più conosciuti e più commerciali.

Perfino gli animali domestici, in prevalenza cani al guinzaglio, hanno un’aria compunta, assorta: procedono per il tragitto abituale immersi in un mondo fatto di caffetterie radical chic e di ex capannoni industriali, di passeggiate lungo il fiume e di spazi immolati alla creatività, in cui attori famosi e registi indimenticati si confondono con i muri grigi e i balconcini di ferro battuto.

Gli alti grattacieli, tutti vetri e alluminio abbacinante, non riflettono più l’azzurro del cielo e l’oro del sole: le loro dimensioni vertiginose sono state rimpiazzate da eleganti case a schiera, i cui mattoni rossi si abbracciano alle volute scure dell’edera e ai profili bianchi delle finestre e dei portoni.

Elementi liberty e guizzi ottocenteschi fanno capolino agli angoli delle strade, mollemente coccolati da insegne di gallerie d’arte e di negozi biologici, da soglie di marmo immacolato e di legno antico.

Le campane della vicina chiesa anglicana battono le ore: suggeriscono, a chi le voglia ascoltare, che è giunto il tempo di fermarsi a ammirare la bellezza della metropoli dalle membra infinite, dei suoi mille occhi e delle sue tante anime. Con voce monotona e paziente, giorno dopo giorno, anno dopo anno, cantano che è giunto il tempo di respirare il suo prezioso ossigeno, di assorbire la sua sottile frivolezza, di vivere la sua irraggiungibile eternità.

E.M.