I freddi numeri, Settima Avenue, Terza Strada, qua diventano Duane
Street e Reade Street, Charles Street e Great Jones Street. Gli spazi apparentemente sterminati di corsie e
di carreggiate si rimpiccioliscono fino a diventare percorsi pedonali, mulattiere di città.
La pavimentazione, asfalto
scuro sferzato dalle ruote dei taxi e delle limousine, cede ora il posto a
sampietrini di accento europeo, spesso uniti gli uni agli altri da ciuffetti di
erba miracolosamente verde, che rendono meno agevole la camminata, ma
restituiscono all’ambiente un’inconfondibile nota calda, da villaggio bretone.
O da borgata romana.
Camminarci sopra, disdegnando
i pur comodi marciapiedi, è un godimento che si ammanta di gioie passate, di
echi lontani: il rumore schioccante delle scarpe richiama lo scalpiccio di
carrozze e di ferri di cavallo, mentre l’atmosfera tutt’intorno ricorda certi
castelli o villaggi medievali, inaspettatamente pregni di melodie jazz o di
canti blues.
Le folle scalpitanti di
turisti qua passano di rado, preferendo alla calma certosina di questi luoghi
il caos e il vociare frenetico dei quartieri più conosciuti e più commerciali.
Perfino gli animali
domestici, in prevalenza cani al guinzaglio, hanno un’aria compunta, assorta: procedono
per il tragitto abituale immersi in un mondo fatto di caffetterie radical chic
e di ex capannoni industriali, di passeggiate lungo il fiume e di spazi
immolati alla creatività, in cui attori famosi e registi indimenticati si
confondono con i muri grigi e i balconcini di ferro battuto.
Gli alti grattacieli, tutti
vetri e alluminio abbacinante, non riflettono più l’azzurro del cielo e l’oro
del sole: le loro dimensioni vertiginose sono state rimpiazzate da eleganti
case a schiera, i cui mattoni rossi si abbracciano alle volute scure dell’edera
e ai profili bianchi delle finestre e dei portoni.
Elementi liberty e guizzi ottocenteschi
fanno capolino agli angoli delle strade, mollemente coccolati da insegne di
gallerie d’arte e di negozi biologici, da soglie di marmo immacolato e di legno
antico.
Le campane della vicina
chiesa anglicana battono le ore: suggeriscono, a chi le voglia ascoltare, che è giunto
il tempo di fermarsi a ammirare la bellezza della metropoli dalle membra
infinite, dei suoi mille occhi e delle sue tante anime. Con voce monotona e
paziente, giorno dopo giorno, anno dopo anno, cantano che è giunto il tempo di
respirare il suo prezioso ossigeno, di assorbire la sua sottile frivolezza, di
vivere la sua irraggiungibile eternità.
E.M.