Un tratto anonimo di
strada battuta conduce il viaggiatore, curioso di Big Sur e delle sue bellezze,
a una delle esperienze più emozionanti che ci si possa immaginare.
Abbandonata con
circospezione la tortuosa lingua di asfalto che qui porta, ci si avventura presto nel Julia Pfeiffer Burns State Park, territorio dagli intricati
sentieri, talvolta interrotti, e dai molti desideri, ogni tanto avveratisi.
Nel cielo,
stranamente, non si scorgono uccelli: quelli predatori, così frequenti a
ridosso della costa, sembrano non volersi addentrare nel fitto del bosco;
mentre l’aria, solitamente carica di mille e mille suoni, riecheggia unicamente
del proprio, solitario, respiro.
Una prima stradina,
ombreggiata dalle sagome possenti di sequoie e abeti, richiama invitante il
visitatore, promettendo un facile percorso e un felice accesso al tesoro meglio
custodito.
Ignari dell’esito
finale, e al contempo curiosi di verificarne l’effettiva
malia, ci si inoltra perciò in una galleria bassa e buia, che solletica col balenio di una ricompensa adeguata, di una vista spettacolare.
Gli occhi ancora
intorpiditi dall’antro buio, e la mente irretita in giochi tortuosi di nascite
e morti, di passaggi e trasformazioni, ci si lascia infatti cogliere di
sorpresa dall’improvviso apparire di una caletta, dai colori intensi e
ipnotici, decine e decine di metri più in basso.
Il sentiero angusto,
agevole per una o al massimo due persone, si assume l’incarico gravoso, d’ora
in poi, di rivelarne ogni singolo dettaglio, nella maniera più suggestiva
possibile.
Che alcune panche,
strategicamente posizionate lungo il percorso, facilitano ulteriormente.
Le rocce a picco
sull’oceano, verdi e blu e rosse e gialle, a seconda della posizione assunta
dallo spettatore e, soprattutto, dagli umori del sole e dell’acqua, regalano
una cascatella, stretta stretta e alta alta, quasi una parodia di se stessa, eppure capace di calamitare l’attenzione per un tempo indefinito.
Una grotta e un varco
possente tra le pietre abbandonate alla furia degli elementi la custodiscono
gelosamente, permettendo a nessuno, nemmeno al dio del mare, di infastidirla
con la propria, vana, presenza.
Laggiù, sulla sabbia
chiara, non si scorgono tracce di passaggi, umani o animali; quasi che il
divieto espresso di raggiungerla, a piedi o in macchina, venga accettato come
regola sacra e inviolabile perfino dai leoni e dagli elefanti marini.
Come un sogno
impalpabile, come un ricordo antico, la si può solo ammirare da
lontano, da un piccolo promontorio alberato e solitario.
E.M., Big Sur
