A percorrerla con attenzione, la lunga strada che da Los Angeles
porta a San Francisco, regala, non di rado, sorprese inimmaginabili.
Difficilmente congestionata dal traffico locale, la striscia
d’asfalto si snoda tra promontori affilati e colline dolci, tra alte maree e
lagune improvvisate.
Ogni tanto una spruzzata di case coloniche a indicare un centro
abitato, talvolta con una popolazione di appena diciotto abitanti, presumibilmente
fratelli, cugini e cognati gli uni degli altri; i secondi diventano minuti che
diventano ore.
Si avverte allora la necessità di uno stacco, per una
passeggiata, per una boccata d’aria al di fuori dell’abitacolo. In queste
occasioni, a cercarle con giudizio, si scoprono nicchie di natura
incontaminata e bellissima.
Può capitare, per esempio, di giungere in vista della regione di
Big Sur, dove, tra curve e tornanti, si confondono alcuni degli angoli più
suggestivi dell’intera costa californiana.
Inutile, in zona, armarsi di cartine geografiche e guide turistiche:
affidarsi al caso, o al proprio intuito, infatti, sembra essere la scelta più
appagante.
E tralasciando gli immensi parchi statali, meta prediletta di
viaggiatori di tutte le età, si può invece andare alla ricerca di una caletta
solitaria, dedicata alla Julia Pfeiffer di cui le pietre e i ruscelli,
qua, parlano.
La stradina che lì porta compare all’improvviso, facilmente mimetizzandosi
con la vegetazione circostante. Che solo un occhio particolarmente attento, o
una generosa dose di fortuna, riesce a individuare.
Il percorso così iniziato, su un sentiero di terra battuta
capace di ospitare appena una macchina alla volta, si insinua nel fitto di un
bosco sempreverde che, in prossimità della meta, si fa incanto suggestivo,
foresta pietrificata: gli alberi, qua spogli e piegati dal vento costante, sembrano
proiettarsi gli uni verso gli altri, alla ricerca di un abbraccio caldo che li
protegga, almeno parzialmente, dal freddo autunnale.
Poco prima di raggiungere la spiaggia, un torrentello bizzoso
si apre un varco fino a una pozza larga, quasi un minuscolo lago, volto felicemente all’oceano non troppo lontano.
L’immensa distesa di sabbia, cupa sotto un cielo carico di
nuvole, accoglie ora una troupe cinematografica insensibile al rigore
atmosferico, che procede caparbiamente nella messa in opera del proprio,
misterioso, progetto.
Rocce alte e scure, corpulenti cetacei battuti dai flutti,
rivelano aperture nascoste, passaggi segreti.
Che una fiaba gotica, o un film noir, saprebbero, certamente,
esaltare.
E.M., Big Sur
