lunedì 31 marzo 2014

Notizie da Lilliput 191: Persons Unknown

Il tratto più vitale di Montana Avenue, compreso tra la Settima e la Diciassettesima Strada, pullula ogni giorno di facce, di corpi, di persone e di animali che ne punteggiano i marciapiedi, che ne affollano le caffetterie.

E che una passeggiata quotidiana, magari in tarda mattinata, la mano sempre pronta a muoversi, frenetica, sul bloc-notes, saprebbe rilevare con precisione certosina.

Nell’apparente guazzabuglio di teste e di piedi, di zampe e di musi, infatti, è facile distinguere alcune presenze costanti che, puntualmente, occupano la scena caotica dell’elegante viale.

Presenze misteriose come apparizioni, che non mancano di modificare, con il loro quieto manifestarsi, l’ambiente circostante, cambiandone il tessuto, alterandone l’equilibrio.

Un uomo e una donna, soprattutto, nascondono un simile potere; probabilmente a propria insaputa, senza dubbio all’insaputa l’uno dell’altra.

Li si ritrova, settimana dopo settimana, mese dopo mese, vestiti nello stesso identico modo, d’estate e d’inverno, a misurare con passo cadenzato l’intero quartiere, saggiandone i cambiamenti, seppure minimi, valutandone le bellezze e le brutture, qualora sussistenti.

Con aria concentrata o fintamente svagata, percorrono lunghe distanze, lo sguardo costantemente fisso davanti a sé, incuranti di quanto li circondi.

La faccia mortalmente pallida, parzialmente nascosta dietro un paio di lenti sproporzionate rispetto ai tratti minuti del viso, e due treccine sottili e impalpabili, striate di grigio, la donna si aggira con piglio sicuro tra giardini e isolati, supermercati e palazzi.

Qualche cenno di saluto, un sorriso tirato a un vicino, o a un conoscente, e d’improvviso scompare dalla vista, inghiottita in uno dei tanti vicoletti che, da queste parti, costituiscono l’accesso secondario alle villette e ai condomini.

Espressione enigmatica, cappello da pescatore e auricolari infilati a forza all’interno delle orecchie, l’uomo, un afroamericano di circa settant’anni, bizzarramente somigliante a Morgan Freeman, si muove a proprio agio tra gli altri pedoni e i passeggini, tra gli skateboard e le biciclette.

Senza mai scomporsi, né accompagnarsi a alcuno, macina miglia appresso a miglia, limitandosi a attraversare la strada, quando in cerca di nuove prospettive o di diverse emozioni.

Sembra non conoscere nessuno.
Sembra non interessarsi a niente che non sia il proprio camminare.


Al contrario degli occhi che, curiosi e impotenti, lo seguono a distanza.

E.M., Santa Monica

venerdì 28 marzo 2014

Notizie da Lilliput 190: Fischia il vento

Le giornate di vento forte portano, a Santa Monica, i suoni dell’oceano che mugghia all’orizzonte, squassato da onde alte e spumose; non troppo frequenti, in questo angolo di California.

Poco per volta, quegli stessi suoni si confondono nell’aria con i versi degli uccelli, storditi dalle folate improvvisamente fattesi ostili, e con il rumore dei rami degli alberi, in moto oscillatorio perenne.

Rimbalzano in alto, sulle formazioni di nuvole bianche e gonfie, in assetto da guerriglia, pronte a dire la loro a chiunque si dimostri tanto sconsiderato da interpellarle.

Precipitano verso il basso, ricadendo a pioggia sulle teste appuntite e sulle code voluminose degli scoiattoli che, infastiditi dal cambiamento di atmosfera, hanno già iniziato a soffiarsi contro, considerando i propri simili un’oscura minaccia, al pari di un animale predatore o di un essere umano troppo invadente.

Le raffiche insistenti, tuttavia, di quando in quando violente al punto da diventare inopportune, distraggono e disturbano anche le menti e gli animi di certi passanti che, come gatti innervositi da un maestrale eccezionalmente cattivo, sembrano impazzire di colpo.

E così, in uno schioccare di dita, svuotano i cervelli del contenuto quotidiano, sempre uguale a se stesso, giorno dopo giorno, anno dopo anno, per riempirli di parole diverse: a volte sfrontate, altre volte timide, a tratti sussurrate, a tratti gridate con quanto fiato si ha in gola, a indirizzi impensati, a destinatari sconosciuti.

In quegli attimi, i pensieri e le idee si cristallizzano in stalattiti e stalagmiti, sbriciolandosi poi sull’asfalto della strada e sul cemento dei marciapiedi; mentre immagini ardite e ipotesi baldanzose si affacciano, impertinenti, a rimescolare percorsi e destini.

In quei frangenti, basta sollevare lo sguardo, e farlo vagare pigramente nello spazio, per percepire un cambiamento, anche sottile, anche minimo, negli umori del mondo circostante.

Sembra che da un minuto all’altro, da un istante all’altro, i sogni e i desideri che ogni essere vivente nasconde, giù giù nelle cavità più remote, debbano manifestarsi in un turbinio di sensazioni, in un’esplosione di contenuti.


Sospesi ovunque, aspettano un segnale, attendono una conferma: per volteggiare sui tetti delle case e sulla risacca del bagnasciuga, per ricoprire i petali dei fiori e gli usci degli edifici; per ricordare infine, con il loro planare delicato, una voce lontana nel tempo, una nenia dimenticata, cantilenante e sensuale come una battuta pronunciata con cadenza romagnola.

E.M., Santa Monica

mercoledì 26 marzo 2014

Notizie da Lilliput 189: Senza traccia

Ci sono luoghi che, a osservarli senza troppa attenzione, rivelano di sé solo il poco che vale alla definizione di “incanto”.

Cittadine balneari dai profili frastagliati, paesini di montagna traboccanti di animali scolpiti e di legno rustico, foreste depositarie di mille voci e mille sussurri affollano quella categoria.

Eppure, uno sguardo più attento è capace di raccontare una diversa versione dei fatti, è capace di nascondere una storia diversa.

E così, d’improvviso, le stradine pittoresche, racchiuse tra due ali di casette variopinte, perdono l’aria svagata, da pescatore stanco, per assumerne una più fosca, stranamente cattiva; le imbarcazioni attraccate nel piccolo molo nascondono traffici illeciti e gli abitanti, da un momento all’altro, come colpiti da un castigo divino, si dimenticano di compiere gesti automatici benché vitali.

Altrove, invece, le torte lasciate a raffreddare sui davanzali dipinti di scuro delle baite e degli chalet spariscono misteriosamente; i comignoli rilasciano fumo più nero del solito e la neve, presenza solitamente innocua, si trasforma in un nemico da abbattere il più in fretta possibile.
Sul limitare del bosco, infine, lungo la linea invisibile che divide il giorno dalla notte, la luce dal buio, a volte può capitare che una ragazza e un bambino, in giro a catturare i raggi piacevoli del sole di fine marzo, a una svolta imprevista, dietro una curva sospetta, facciano perdere le proprie tracce, precipitando famiglie e concittadini in un incubo nero.

I loro visi sorridenti, sorpresi in un attimo di pausa tra un gioco e l’altro, tra un’attività e l’altra, adesso seguono le mosse e le vite di quanti si siano lasciati, involontariamente, alle spalle.

Dalla bacheca degli annunci urgenti della caffetteria locale fissano il vuoto davanti a sé con espressione fiduciosa, mentre nell’ufficio dello sceriffo, probabilmente, genitori e fratelli, zii e cugini si affannano a cercare ragioni, a trovare indizi.

Sospetto e disperazione, allora, si insinuano lentamente e inesorabilmente in quelle menti e in quegli animi che, oramai, non sanno più come fidarsi gli uni degli altri, non sanno più come reagire ai capitomboli della sorte, attenti a cogliere un minimo accenno di colpevolezza nell’intonazione della voce di chi sta loro davanti, attenti a rilevare un sintomo di cattiva coscienza nelle movenze dei corpi di chi sta loro intorno.


Da qualche parte, intanto, in uno spazio bianco privo di entrate e di uscite, di porte e di finestre, si trovano la ragazza, la giovane baby-sitter dai capelli lunghi e dai denti perfetti, e il bambino, un esserino biondo e diafano, poco più che duenne, in attesa di una mano amica, di una presa salda.

E.M., Santa Monica

martedì 25 marzo 2014

Notizie da Lilliput 188: Sul cocuzzolo della montagna

Le prime nuvole, bianche e gigantesche, talmente grosse da sembrare sul punto di esplodere, fanno la propria comparsa intorno alle otto e mezzo del mattino.

Fino a quel momento, il cielo sopra la cittadina di Big Bear Lake è stato terso, immacolato. Così azzurro e limpido da fare quasi male alla vista.

Oggi, invece, ha deciso di striarsi di bianco: con un fare civettuolo, ha assunto le sfumature della montagna sottostante che, ancora innevata, è meta, soprattutto nei fine settimana, di appassionati di sci e di amanti dello snowboard.

In lontananza, dalle baite e dai rifugi accoglienti dei dintorni, è possibile percepire distintamente, in mezzo al tut-tut delle diverse specie di uccelli di guardia sui rami dei pini, gli strilli di gioia e le urla di incitamento che, dalla seggiovia, si irradiano per tutto il circondario.

Affacciandosi dalla finestra, o sorseggiando una tazza di caffè comodamente spaparanzati in terrazza, invece, ci si può concedere il lusso di individuare le figure, minuscole e scure nella distanza, di quanti si siano già riversati lungo il pendio, dolce e apparentemente privo di insidie.

A gruppetti di due o di tre, talvolta in formazioni di portata eccezionale, talvolta lupi solitari in fuga dalla civiltà, quegli estimatori della vita all’aria aperta si beano del sole mite e del lucore incontaminato, grati per l’occasione di indossare, una volta di più, le tute ingombranti e gli occhiali protettivi.

Più a valle, all’ingresso solitamente deserto della stazione sciistica, un vigilante dall’espressione imperscrutabile regola il traffico dei mezzi in entrata: un rapido sguardo all’ampio parcheggio, infatti, rivela una quantità incalcolabile di berline, di jeep, di SUV, di qualsiasi marca e colore.

Poco oltre, nel budello che si insinua tra le varie strutture, tutte, rigorosamente, di legno scuro, una caffetteria risuona delle voci entusiastiche di chi si prepari a affrontare la salita o di chi, al contrario, sia appena ridisceso, carico di adrenalina e desideroso di ripetere l’avventura.

La lunga Club View Drive, la strada che, dal centro abitato, si avvita intorno ai boschi e alle abitazioni di villeggiatura, intanto, ha dovuto rassegnarsi, come capita ogni sabato e come di nuovo capiterà domani, domenica, a un ritmo più rallentato, tipico di un giorno di riposo e di svago, fatto di giovani impazienti di esibire le proprie capacità e di famiglie in vacanza col cane e l’infante, di principianti atterriti all’idea di capitombolare miseramente e di semplici curiosi.


Con buona pace degli individui che, ancora, non si siano rassegnati alle promesse della montagna e alla sua voce melliflua e suadente.

E.M., Big Bear Lake