Non sempre le storie
a lieto fine sono quelle inventate dagli sceneggiatori per una commedia di
successo o dagli autori di un qualche libro pluripremiato.
A volte, quelle
storie, si trovano nascoste tra le pieghe della realtà che, lentamente, le
rilascia, permettendo alle orecchie e ai cuori delle persone di tutto il mondo
di ascoltarle, di metabolizzarle e, a propria volta, di trasformarle in
qualcosa d’altro.
E così, per dire,
capita che due uomini, provenienti da aree geografiche e da climi culturali lontanissimi
tra loro, uomini un tempo all’inseguimento di idee diametralmente opposte le
une alle altre, si ritrovino, alle soglie della terza età, a discutere e a
confrontarsi, dapprima con apprensione strisciante, poi con familiarità
crescente e infine quasi stima reciproca.
Non che le diversità
si siano d’un tratto appianate, come non fossero mai esistite, o che i ricordi,
dolorosi soprattutto per l’Uomo che viene dal Nord, si siano improvvisamente
cancellati, spazzati via dall’entusiasmo per un possibile, nuovo inizio.
Semplicemente, gli
anni e l’esperienza hanno insegnato a entrambi qualche trucco in più, qualche
sotterfugio in più, qualche scappatoia a cui aggrapparsi nei momenti critici.
Nell’elegante camera
d’albergo che, a poco meno di cinquant’anni di distanza dal loro primo e ultimo
incontro, li riunisce oggi in territorio neutrale, i due si osservano,
guardinghi.
La videocamera che li
riprende, intanto, cerca di passare inosservata, danzando lungo i muri,
librandosi nell’aria: in questo modo, sia l’Uomo del Nord, un cineasta
canadese, che l’Uomo del Sud, un membro attivo del Ku Klux Klan, riescono a
porsi le domande e a darsi le risposte che hanno provato e riprovato decine e
decine di volte in solitudine.
La distanza siderale
degli inizi, della notte in cui lo studente universitario di Toronto, arrivato
in città a difendere il diritto al voto degli afroamericani, ha rischiato di
morire per mano del giovane razzista, figlio di razzisti e amico di razzisti,
sembra pian piano cedere il posto alla curiosità di capire, alla necessità di capire, e di capirsi.
Benché nessuno dei
due abbia mai cambiato posizione rispetto agli eventi incriminati, infatti, le
parole e i pensieri, cauti e educati in uguale misura, le azioni e i sorrisi, improvvisi
e sinceri allo stesso modo, alleggeriscono la tensione e attenuano l’imbarazzo.
Suggerendo infine ai
due protagonisti dell’incredibile vicenda, se non esattamente una
riconciliazione, almeno una liberatoria stretta di mano, che, tributato il
giusto ai fantasmi del passato, forse nasconde qualcosa di meglio.
Come un
lieto fine.
E.M., Santa Monica
