A dispetto del nome c’è qualcosa di
fiammingo, nel Wisconsin.
Soprattutto in autunno, soprattutto quando le foglie sugli alberi iniziano a
cambiare colore e la luce le anima di tonalità corpose alla maniera di una
pennellata a olio. I boschi e le foreste diventano così quinte teatrali, i cui
pesanti tendaggi, betulle grigie e spoglie, proteggono abeti e querce secolari che
macchiettano il paesaggio delle loro allegre sfumature.
Basta sedersi sulla riva di un lago,
preferibilmente vasto, e osservarne la sponda opposta. Fin dove arriva lo
sguardo è un susseguirsi ininterrotto di rami, di fronde e di cime apparentemente
compatte e impenetrabili, quasi fossero state dipinte singolarmente e poi unite
le une alle altre da un tratto scuro e inaccessibile.
A guardar meglio, tuttavia, si scorgono i
segni inconfondibili di un’attività febbrile fatta di alci, di picchi e di scoiattoli, che contendono il territorio agli sparuti rappresentanti del genere
umano. Questi ultimi, solitamente individuabili a dorso di voluminosi
furgoncini o nel ventre caldo e panciuto di case di legno, mal tollerando
l’evidente inferiorità numerica, paiono disposti a tutto, caccia compresa, pur
di primeggiare.
Volendosi addentrare nel fitto della
boscaglia, poi, ci si immerge in un’atmosfera düreriana: a ogni minimo
scricchiolio sul terreno si trattiene il fiato, nel timore d’aver disturbato
qualche lepre fulva dalle lunghe orecchie pettinate all’indietro con studiata
noncuranza, mentre cerbiatti curiosi si spostano agili verso il fitto muro di
tronchi, non senza prima aver agitato la delicata coda-piumino e scoccato
un’occhiata curiosa all’indirizzo dell’esploratore distratto.
Di quando in quando, lo scuro tutt’intorno è
interrotto dalla presenza di una costruzione non troppo grande né
eccessivamente indiscreta, a ridosso della quale è fiorito un contorno di vasi
di legno larghi come mastelli a contenere piante ornamentali e giocattoli
dimenticati da bambini ormai cresciuti, vialetti perfettamente spazzolati e
barche ridipinte a mano in quieta attesa del proprio destino.
È d’inverno, tuttavia, che la natura rivela
il suo aspetto più segreto e fiabesco: non appena neve e ghiaccio nascondono
arbusti, acque e tetti, e le pale iniziano a lavorare freneticamente alla
ricerca di un qualche accesso per l’uomo altrimenti rintanato davanti alla
stufa, al pari di qualsiasi altro animale ormai in letargo, il candore
abbacinante della terra si fonde col bianco riposante del cielo, livellando
ogni differenza, annullando ogni imperfezione.
La sensazione, piacevole e spaesante
insieme, è quella d’essere confinati in una palla di vetro dalle pareti
sfuggenti e scivolose, nella quale rotolare senza sosta verso il basso e di
nuovo verso l’alto, in un continuo rovesciamento di prospettive fino alla
primavera successiva, fino al prossimo risveglio.
E.M., Long Lake