lunedì 31 dicembre 2012

Notizie da Lilliput 56: A Ojai


A Ojai la gente sorride e sembra sempre contenta.

A Ojai le arterie del centro, non troppo larghe eppure spaziose, accolgono il visitatore con tale trasporto da ingegnarsi nel tentativo, a volte inutile, di trattenerlo.

A Ojai gli abitanti, pochi, appena qualche migliaio, popolano rumorosamente e allegramente le strade e i tanti, pittoreschi, negozi ostili alla grande distribuzione.

A Ojai le merci dei supermercati, esposte con consumata perizia su scaffalature di legno lustro e quasi profumato, attentano puntualmente la vista e gli altri quattro sensi con le loro etichette invitanti dai colori chiassosi.

A Ojai, da Los Angeles, si arriva dopo una piacevole passeggiata in auto attraverso campi coltivati ordinatamente a ortaggi variopinti e improvvisi cambiamenti di paesaggio e di prospettiva, guizzi di boscaglia e lampi di case, sparute, nel verde.

A Ojai si viene per respirare aria pulita, per immergersi nella calma e nella serenità tipiche di un piccolo borgo dai sani principi fisiologico-ambientali e per mangiare correttamente. Frutta e verdura scoppiano di salute e significano benessere assicurato per chiunque voglia assaggiarle. Che qui non ci si fida delle innumerevoli catene di prodotti dalla dubbia qualità e dalla ancor più dubbia origine, così popolari, invece, nel resto del paese.

A Ojai, in fondo, si può anche venire a caccia di personalità, più o meno famose, più o meno riconoscibili, più o meno memorabili. Seminascosti sotto occhiali da sole formato gigante, o seminudi in bella mostra tra le vetrine che ospitano manufatti originali, gioielli folk o abiti vintage, se ne vanno sotto i portici della strada principale attori e attrici, sceneggiatori e registi, produttori e costumisti.

A Ojai, volendoli avvicinare o perlomeno studiare da meno lontano, li si segua pure fino alla meta ultima di questo loro viaggio, fino al motivo reale di questa loro presenza in città: l’immenso albergo alle porte del centro abitato, ritrovo abituale di losangelini facoltosi che vogliano spezzare il frenetico avvicendarsi di giorni e notti e mesi e anni tra i grattacieli della metropoli.

D’un tratto ci si ritroverà a sgusciare furtivi oltre l’immenso campo da golf, a strisciare lungo i bungalow bianchi del bianco abbacinante che riflette i mille raggi del sole californiano, a superare la piscina con il suo contorno di ospiti discreti e di animali liberi e incuranti dello straniero, a giungere in vista del padiglione dedicato alla sauna e alla cura del corpo, per poi incrociare, fortuitamente, una vecchia gloria della televisione alle prese con una nuova piega della propria esistenza, con un giovane accompagnatore aitante e con un asciugamano mollemente stretto intorno alla vita: a Ojai.

E.M.

sabato 22 dicembre 2012

Notizie da Lilliput 55: La fine di Santa Rosa e il Ranch delle Meraviglie


A nord di San Francisco si estende la regione del vino.
Immersa tra i suoi lunghissimi filari di uve colorate al sole della California, protetta da un boschetto incantato, fitto e verde di alberi e di arbusti poco più lungo di due automobili una dietro l’altra, si trova Santa Rosa.

Sul limitare di Santa Rosa, poco prima che la campagna si faccia città, c’è il Ranch delle Meraviglie, nascosto da un fiumiciattolo infossato a guado del quale si allunga un ponte all’apparenza non molto robusto.

Quando il tempo lo permette, e in giro non c’è nessuno, da una curva del sentiero che porta all’abitazione principale si possono intravedere delle orecchie timide, in perenne movimento. Al di sotto, due occhi grandi e inoffensivi spuntano sotto una frangetta di peli: Daisy, un cucciolo di lama, monta attenta la guardia, sempre pronta, tuttavia, a riparare all’interno della stalla nella quale vive, se la situazione dovesse dimostrarsi intollerabile.

Questa, presunta, inospitalità viene presto dispersa dalla comparsa di Jack e Milly, asini grigi dall’aspetto solido e mansueto, che non mancano di affacciarsi alle spalle della loro coinquilina, regalando un sorriso invitante e amichevole a chiunque voglia accarezzarli o coccolarli.

Anfitrioni di questo mondo fatato dove niente è come sembra, a cominciare dalle aiuole che si rivelano fatte d’acqua poco profonda, sono un architetto paesaggista, Helen, e un medico chirurgo, Bob, puntualmente accompagnati dal portafortuna di casa, un arruffato barboncino biancastro, Baboosh.

Oltre il cancello d’ingresso, a sinistra del quale si eleva un’elegante costruzione moderna, l’abitazione privata della coppia, lo sguardo spazia, ammirato: una piscina, intorno alla quale il cane gioca infaticabilmente, un pergolato, teatro di chiassose cene estive, una tenda arabeggiante entrando nella quale ci si sente un po’ Sherazade.

Immergendosi nei frutteti variopinti e nei campi coltivati a zucche e fagioli, patate e carciofi, si arriva a una porticina di legno blu: aprendola col respiro trattenuto delle grandi occasioni, quelle in cui si cerca di non spezzare l’incantesimo ormai consolidatosi tutt’intorno, ci si ritrova a indossare i panni di Alice al di là dello specchio.

Un angolo fiabesco, nel quale i vasi assumono sembianze umane e i sonagli indiani richiamano animali reali e presenze invisibili, si apre, franco, al visitatore, promettendogli Bianconigli e Cappellai Matti, Brucaliffi e Stregatti che, a ben pensarci, potrebbero essere già qui da qualche parte, con una tazza di tè fumante tra le mani, a spiare gli estranei spaesati.

Distratto dalla meraviglia che gli si propone quotidianamente davanti minuto dopo minuto, ora dopo ora, perfino il giorno fatica a trasfigurarsi in notte, desideroso com’è di continuare a illuminare ogni singolo sortilegio, ogni singola suggestione, nella speranza, vana, di scorgere finalmente Puck dietro un tronco o sotto una fontana.

E.M.

giovedì 20 dicembre 2012

Notizie da Lilliput 54: Dove osano le anatre


Chissà se qualcuno ha mai capito dove vanno le anatre, una volta preso il volo da Central Park agli inizi della stagione fredda. E chissà se qualcuno se lo chiede ancora, passeggiando per uno dei tanti, suggestivi sentieri che si intersecano nel celeberrimo polmone verde di New York.

Una cosa, tuttavia, è certa: attraversarlo, d’estate o d’inverno poco importa, si rivela un interessante esercizio sociologico, applicabile indifferentemente alla popolazione umana, transitoria e estremamente variegata, e a quella animale, perenne e non troppo composita.

Sui suoi pendii erbosi, tra le panchine nere o a ridosso dei ponti in miniatura, si possono captare decine e decine di lingue diverse, tutte ugualmente musicali, tutte ugualmente dolci: spagnolo e americano, russo e italiano, arabo e cinese si rincorrono senza sosta, affermando punti di vista, augurando felicità, domandando ragioni.

Probabilmente in città non c’è nessun altro posto in cui le tanto decantate differenze tra gli abitanti dell’Upper East Side e quelli dell’Upper West Side, motivo di vanto per  ciascuno di loro, si palesino con altrettanta forza e vivacità. I due quartieri, l’uno con il proprio carico di musei gloriosi, di palazzi eleganti e di anziani conservatori e facoltosi, l’altro con la sua eredità di famiglie giovani e numerose, di edifici bizzarri e di artisti seminascosti tra i residenti comuni, individuano terreno di scontro-incontro comune sulle rive del laghetto o all’imbocco del piccolo zoo, sopra una delle tante carrozze di aspetto ottocentesco o sotto i rami di un qualche albero.

Ebrei ortodossi, intanto, dimentichi dei divieti imposti dalla loro religione, nei pomeriggi assolati si ritrovano a disegnare eleganti volute scure a poca distanza dalle lastre di roccia su cui coppie di amanti languono gli uni nelle braccia degli altri, davanti allo sguardo scandalizzato di quei rigidi passanti o a quello fiducioso di uno scoiattolo alla costante ricerca di cibo. Quando non a quello, impassibile, di una delle molte statue disseminate nel verde.

Poco più in là, classi intere di giovani e giovanissimi scolari si esercitano all’aria aperta, possibilmente in una giornata gialla di sole, come tante altre classi hanno fatto prima di loro perfino durante i rigori dell’inverno locale, perfino durante quelli, di tanto tempo fa, insopportabilmente carichi di ghiaccio e di neve.

Di quando in quando, qualcuno degli allievi più piccoli si distrae all’inseguimento di un animaletto comparso dal nulla, troppo veloce da raggiungere o, perlomeno, da immortalare. La delusione, fortunatamente, dura poco più di un momento, subito cancellata da qualche sfida più intrigante, da qualche promessa più avvincente.

Altrove, passeggini e carrozzine formano anelli colorati e sempre diversi intorno all’ordine di cavalli della giostra che, oramai, risuona dei nitriti impazienti e dei fremiti selvaggi dei suoi destrieri, desiderosi di ospitare tutti i bambini, occhi sgranati e ciucci pendenti, sulle proprie, comode selle.

Mentre le anatre, frattanto, decidono dove andare.

E.M.

La profezia Maya e la fine del mondo sull'Amazon Kindle

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Il 21 12 2012 è ormai vicino. Sulla profezia Maya relativa all'imminente fine del mondo si è detto e scritto tanto. Numerosi sono stati anche i libri realizzati per spiegare al pubblico una dei tormentoni pseudoscientifici e apocalittici che ci hanno accompagnato negli ultimi anni. Diamo quindi uno sguardo ad alcune interessanti pubblicazioni disponibili per Kindle che si trovano su Amazon nel caso qualcuno voglia farsi un'idea dell'argomento, tra saggi e romanzi.

L'ultima profezia. 2012, il testamento Maya
Si intitola L'ultima profezia. 2012, il testamento Maya il romanzo scritto da Steve Alten e pubblicato dalla eNewton Narrativa. Il libro parte da alcune domande di grande interesse per gli appassionati di misteri: cosa lega tra loro la Grande Piramide di Giza, i templi indù di Angkor Vat in Cambogia e la Piramide del Sole a Teotihuacàn? Quale mistero racchiudono gli inspiegabili geoglifi della pianura di Nazca e gli imponenti megaliti di Stonehenge? 

A queste domande cercherà di rispondere l’archeologo Julius Gabriel, eminente studioso delle popolazioni precolombiane, nonché convinto sostenitore della teoria secondo la quale tali monumenti sarebbero gli anelli di una catena di messaggi occulti collegati tra loro, che porterebbero alla risoluzione del più grande enigma della storia dell’uomo. Secondo l’antichissimo calendario dei Maya, infatti, durante il solstizio d’inverno del 2012 dopo Cristo una terrificante apocalisse si abbatterà sulla Terra. Rimane un unico modo per sfuggire alla catastrofe.

2012. Le profezie dei Maya sono vere?
Diverso il taglio adottato da Richard J. Abbey, autore del saggio intitolato 2012. Le profezie dei Maya sono vere? che ha come fine principale quello di indagare sull'origine della profezia, o per meglio dire, su quanto contenuto dal calendario Maya, secondo il quale l'attuale Età dell'Oro, la quinta, governata dal dio Quetzalcoatl, terminerà il 21 dicembre 2012 e inizieranno nuovi tempi. Dobbiamo aspettarci grandi sconvolgimenti ambientali e geologici? Chi erano i Maya? Come funzionava il loro calendario? Profezia o business? La scienza cosa dice? Queste le domande cui cercherà di rispondere l'autore.

2012: L'originale messaggio Maya (Il futuro dopo il 2012)
Scritto da Nah Kin è invece il saggio intitolato 2012: L'originale messaggio Maya (Il futuro dopo il 2012). Un libro un po' diverso dagli altri, in quanto l'autrice è non solo una maestra spirituale, ma la sacerdotessa Maya nonché portavoce del messaggio che questo antico popolo ci ha inviato attraverso i secoli. Una fonte autorevole che parla della grande rivoluzione che darà inizio alla Nuova Era, poiché noi tutti, secondo Nah Kin, ci troviamo alle soglie di un’opportunità unica nella storia dell’uomo.

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mercoledì 19 dicembre 2012

A sciare con Instagram, Twitter e Facebook

concorso foto crans-montana - www.crans-montana-aminona.com

Si chiama "Concorso Foto Crans-Montana" il concorso fotografico del momento: un'esperienza di condivisione digitale, grazie alla quale è possibile vincere numerosi premi: week-end in hotel, pasti gratuiti e skipass a Crans-Montana.

Location del concorso digitale è lo splendido comprensorio sciistico di Crans-Montana, nel quale è possibile sciare dai 1500 metri, quota d'altitudine del paese, sino ai 3000 metri sul ghiacciaio della Plaine Morte: un'area di 140 km di piste con segnaletica, dedicate a tutti gli sciatori ed agli appassionati di snowboard.

Per partecipare basta scattare una fotografia e postarla su Instagram o Twitter con l'hashtag # cmpanorama, oppure nell'applicazione collocata sulla pagina Facebook di Crans-Montana Turismo nella rubrica denominata Concorso Panorama.

Tutte le informazioni sono contenute nel video:

martedì 18 dicembre 2012

Notizie da Lilliput 53: O Tannenbaum


Di questi tempi, passeggiando per Manhattan, ci si può ritrovare all’improvviso in qualche angolo di Germania. Le insegne e le luminarie natalizie, infatti, spesso conducono a inaspettati mercatini densi di profumi, di colori, di voci, talvolta rischiarati dai bagliori azzurrognoli di una pista di pattinaggio sul ghiaccio spaziosa e invitante.

Sia che si proceda dall’estrema punta meridionale dell’isola verso Midtown sia che, al contrario, si decida per il percorso inverso, dall’Upper West Side all’ingiù, si rimarrà inevitabilmente attratti dalle strisce bianche e rosse delle tende che ospitano mercanti e clienti, stranieri e autoctoni, giovani e vecchi.

Ghiottonerie locali a base di hot dog e cupcake cercano di incantare il passante a danno del banchetto di würstel e lebkuchen loro concorrente, mentre l’italoamericano di fianco ha già conquistato, sornione, il cuore e lo stomaco di tutti con una fetta di tiramisù e un goccio di vero caffè espresso, denso e saporito.

Bambini e balie, uomini d’affari e donne in carriera, famiglie intere o irriducibili scapoloni girano, entusiasti di questo scorcio di Europa sotto casa, tra le diverse bancarelle additando stranezze, soppesando offerte, spazzolando delicatezze.

I rivenditori, nel frattempo, si sforzano di ideare strategie sempre nuove per ammaliare il possibile acquirente, anche, o forse soprattutto quello che, ingenuo, si trova a passare davanti a loro per caso, in cerca di un’evasione dal traffico costante della città o a caccia di un po’ d’erba sulla quale ripulirsi dalla fanghiglia accumulata nel corso del cammino.

Copricapi e muffole di lana, portafogli e portamonete di pelle, tazze e tazzine di ceramica variopinta, palle di vetro e decorazioni per l’albero, oggetti uguali a quelli di un qualsiasi altro mercatino, eppure al tempo stesso diversi e unicismaniano e occhieggiano furiosamente dalle scaffalature temporanee, mentre volute di vapore bollente esalano dai calderoni nei quali tè dai gusti esotici e cioccolate dagli aromi accattivanti avanzano pretese nei confronti dei pedoni più o meno distratti, più o meno influenzabili.

Sullo sfondo, incuranti di tutto il resto, schiere di atleti o di semplici appassionati disegnano traiettorie affilate come diamanti sulla superficie, liscia e luccicante al sole decembrino, della pista di pattinaggio loro dedicata, generosa imitazione di quella, celeberrima e insuperabile, protetta dall’angelo dorato del Rockefeller Center.

Pellicce e cappotti, manopole e berretti, veloci e agili nel tracciare quegli arabeschi gelati sotto le lame taglienti delle proprie calzature, suggeriscono inevitabilmente un incanto passato, fatto di berline scure e di boa di piume, di frac severi e di cene danzanti, di spettacoli musicali e di balli in bianco e nero.
Mentre scoiattoli e merli, pesci e piccioni stanno, quieti, a guardare.

E.M.