Ci sono momenti, del
giorno, dell’anno o della vita, in cui ci si rende conto d’aver avuto sempre abitato vicino a piccoli misteri e a inutili segreti che, se esperiti con moderazione, avrebbero avuto la capacità di alleggerire la fatica di certe ore o il carico di certe altre.
Il condominio al
numero 844 della 16° Strada, a Santa Monica, è uno di questi posti, in cui gli
arcani si incrociano e, con un po’ di fortuna, si disvelano allo spettatore ricettivo.
A cominciare
dall’ingresso principale che, ingentilito da un albero secolare e da un’aiuola
verde, inganna il visitatore, attirandolo a sé con il tetto spiovente dai
rimandi fiabeschi e il lucore abbacinante delle sue assi di legno, di
pellegrina memoria. Le quali, tuttavia, lungi dal rappresentare un’unità abitativa
monofamiliare, delimitano, in realtà, la sfera privata di un condomino, l’inafferrabile Numero Uno.
Qui, oltre la palizzata e
il cancelletto bianchi non sembra registrarsi attività alcuna:
settimana dopo settimana, anno dopo anno, le veneziane, in tinta col resto
della struttura, rimangono ostinatamente chiuse, indifferenti ai raggi amichevoli
del sole californiano o ai lampi di luce artificiale provenienti dall'interno; mentre un tubo, arrotolato con noncuranza al di
sotto di un rubinetto, difficilmente si sposta di qualche millimetro.
Poco oltre, nel garage occultato da un’algida saracinesca, sono protette macchine
sconosciute all’occhio umano, e il minuscolo giardino, un quadrato di
mattoni rossicci, non accoglie fiori o piante di cui doversi prendere cura.
L’abitazione, poi, affacciandosi su un passaggio angusto e ombreggiato, dissimula un corpo lungo,
stretto e alto (dotato di piano superiore), in cui altre voci e altre stanze muovono e
si riparano e in cui, sorvolando sulla simpatica figura che risiede nell’appartamento Numero Due, nuovi elementi suggeriscono ritrosia e ambiguità.
Al Numero Tre, per
esempio, una quantità variabile di esseri umani, di complicata individuazione, si ripara dagli sguardi indesiderati orientando le tapparelle
con maestria, al fine di deflettere ingerenze o di scoraggiare intrusioni, occupando
lo spazio come attraverso morbide e silenziose fluttuazioni.
All’estremità opposta, al Numero Sei, insiste invece una strana coppia, formata da una donna e dal suo gatto, un
trovatello di due anni e di pelo nero. I due, timidi e riservati in ugual
misura, si concedono molto poco al vasto pubblico, preferendo alla
chiassosità delle strade la quiete tranquilla di casa e l’esclusiva compagnia
l’una dell’altro.
Mentre la curiosità circostante che avvolge loro e gli altri si è, oramai, trasformata in smania
irrefrenabile di conoscenza e di dominio della verità.
E.M., Santa Monica