Il sabato mattina,
intorno a mezzogiorno, le strade di Westwood, in particolare del WestwoodVillage, il cuore commerciale del distretto, brulicano di vita.
Facce giovani e
appetiti robusti, gli studenti, attirati dai profumi invitanti che si levano
nell’aria dalle panetterie e dai ristorantini, abbandonano la ritrosia, a dir
poco fisiologica durante il fine settimana, e, dalle eleganti alture della UCLA,
sciamano verso il basso, pronti a confondersi con la popolazione locale.
Vocianti e allegri,
quasi che l’attesa del giorno di festa abbia cancellato loro la preoccupazione
degli esami e dei futuri impegni professionali, si riversano per il quartiere, visitandone
i negozi e occupandone gli abituali ritrovi.
Facilmente individuabili
grazie ai colori e al logo della prestigiosa università che tutti li accoglie,
riservano sorrisi timidi o franche risate al turista che li osserva di
sottecchi o al bambino che li addita con curiosità.
Palazzi a uno, al
massimo due piani, arricchiti di balconcini in ferro battuto e ceramiche
variopinte, forse partiti dal Portogallo al seguito di qualche illustre
esploratore e navigatore, proteggono gli spazi eleganti, le palme alte e
sottili e i viandanti ammirati dalle possibili brutture circostanti, disegnando
una mappa precisa e infallibile.
Al loro interno,
nascosti agli sguardi distratti dei passanti, si trovano piccoli giardini
incantati: finestre incorniciate di fiori, fontane istoriate, patii dall’inconfondibile
calore mediterraneo; richiami e volute spagnoleggianti e arabeggianti
disseminati ovunque con delicata maestria.
Qua e là, teatri e
sale cinematografiche di storici natali ancora ospitano generosamente il
pubblico, diviso tra il film candidato a dieci Oscar e quello più raffinato,
quasi completamente trascurato.
Una o due torri
dipinte di bianco abbacinante riflettono i mille raggi del sole californiano:
un’antica insegna della FOX svetta, immodesta e altera, a monito perenne;
mentre poco più avanti, inserita in un incantevole scenario di aiuole bordate
di maiolica, una costruzione bizzarra, un po’ moschea, un po’ osservatorio
astronomico, delimita i confini dell’incantevole passeggiata.
Di quando in quando,
saltando da un marciapiede all’altro, e cambiando prospettiva sul paesaggio, si
ha la netta sensazione, velata di accenti malinconici, d’essere altrove.
In un altrove fatto
di pellicole da restaurare e di fotogrammi in bianco e nero. Ma in cui è
sufficiente un suono, un soffio, per riportare velocemente alla gradevole realtà.
E.M., Santa Monica