Mi sono scelta un Virgilio claudicante. E già questo, di per sé, è significativo: chi potrebbe volere una guida in difetto? una guida incapace di rendere il cento per cento? Qualcuno, magari, cui interessa uno sguardo di traverso, meno sclerotizzato, forse. Forse.
La poeticità della risposta che mi sono data, però, non corrisponde alla realtà o, quanto meno, non corrisponde alla sua, di realtà: ha deciso infatti di sottoporsi a un intervento chirurgico per recuperare la mobilità di un tempo.
Stamattina l’ho dunque accompagnato in ospedale: un luogo stranamente ospitale, pieno di medici e paramedici oltremodo gentili e allegri. Affianco al suo letto, protetto alla altrui vista dall'immancabile tendina, a un certo punto si è radunata una piccola folla festante: i convitati discutevano di vini, bianchi e rossi, e della loro differente scelta, a seconda che si sia uomini o donne. Li ascoltavo affascinata.
Il pensiero è corso subito alle centinaia di ore trascorse a vedere telefilm di ambito ospedaliero: mi sono domandata come mai lì, in una delle strutture più importanti degli Stati Uniti, i dipendenti parlassero tranquillamente del più e del meno brandendo un bicchierone stracolmo di caffè o addentando una ciambella, anziché arrovellarsi sulle Questioni Fondamentali dell’esistenza umana, come hanno fatto, fanno e sempre faranno i loro colleghi di Hollywood. Possibile che, drammaturgia a parte, non si riesca a imparare niente dalla realtà?
Il Virgilio, nel frattempo, sonnecchiava sotto l’effetto del sedativo stanco, a mio avviso, di ripetere all'infinito il proprio nome (sillabato come in una gara scolastica), la propria data di nascita e il tipo d’operazione cui si sarebbe a breve sottoposto.
Ho contato sette persone al suo capezzale, tutte con un sorriso simpatico sulle labbra e le stesse, identiche domande tra i denti: “Può sillabarmi il suo nome? e il suo secondo nome? e il suo cognome?”
La cosa più ridicola era osservare le loro espressioni compite nel verificare (meraviglia!) come il paziente fosse in grado di portare a termine il compito assegnatogli con precisione e perizia.
Inghiottita dal vortice di s e r e a che mi volteggiavano intorno, mi sono ritrovata a riflettere sulla bizzarra combinazione tra questa ossessione del personale ospedaliero per l’identità e la capacità mnemonica dei propri assistiti e la memoria collettiva di un Paese giovane come quello che li ha generati. La storia degli Stati Uniti, non c’è di sicuro necessità di ricordarlo, è piuttosto limitata nel tempo: se si escludono i nativi americani, non bisogna scavare troppo per recuperarne il tracciato.
Non c’è un Medioevo, non c’è un Rinascimento cui appigliarsi, eppure, visitando i loro musei, e la lunga teoria di sale zeppe di arte americana, ci si rende conto di come, quel poco che hanno, lo lustrino e inciprino con orgoglio.
Si tende sempre a ritenere che i giovani non si curino del passato: se si pensa agli Stati Uniti in questi termini, allora qui sembra esattamente il contrario. Come se smaniassero nel tentativo di superare l’indiscutibile differenza storica che li divide dagli altri continenti perseverando in una politica di costante allenamento mnemonico del proprio ieri.
Per la cronaca, è toccato anche a me, in quanto visitatrice, sillabare in più di un’occasione il cognome del Virgilio: forse dovrei pretendere la cittadinanza onoraria…
E.M., New York City
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